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Post lockdown e isolamento sociale tra giovani in Puglia. L’allarme delle famiglie: “Covid alibi per restare a casa”

Pubblicato da: Francesca Emilio | Dom, 27 Settembre 2020 - 11:00

Sempre più adolescenti e ragazzi preferiscono restare in casa piuttosto che uscire. È l’allarme lanciato da alcuni genitori pugliesi, ma non solo.  Ad essere preoccupati sarebbero anche gli esperti e i genitori appartenenti all’associazione “Hikikomori Italia”, fondata nel 2017 dallo psicologo Marco Crepaldi, il quale, ormai da un po’ di anni ha denunciato la diffusione di una nuova sindrome, aggravatasi in maniera esponenziale soprattutto dopo il lockdown, quella, appunto, dell'”Hikikomori”.

Preferire l’isolamento sociale alle uscite con gli amici, “incontrare” i propri coetanei attraverso le piattaforme di gioco online e restare, letteralmente, in disparte, nonostante il lockdown sia passato, utilizzando l’emergenza sanitaria come alibi per non doversi confrontare con il mondo esterno. Sono solo alcune delle conseguenze di quella che ormai, a detta degli esperti, è diventata una vera e propria patologia, che, nata in Giappone, dove al momento si contano circa un milione di casi, si è progressivamente diffusa nel resto del mondo, anche in Italia, dove, ha dichiarato la stessa associazione sui siti ufficiali, si contano attualmente circa 100mila casi, che non tendono a diminuire.

La situazione, a detta della stessa associazione, risulta infatti notevolmente peggiorata durante l’emergenza sanitaria. Anche la Puglia non è esente da questa “moda” che sta prendendo sempre più il sopravvento tra i giovani, di età compresa soprattutto tra i 13 e i 25 anni, rendendoli capaci di restare in “lockdown perenne”. A denunciarlo sono alcuni genitori e insegnanti, tra questi Rosanna, mamma e insegnante di scuola media.

“Sono una mamma, ma sono anche un’ insegnante, facendo un sondaggio tra i miei figli e sentendo nei giorni caldi precedenti all’apertura delle scuole molti altri genitori, mi sono resa conto di quanto i ragazzi si siano cullati durante il periodo di lockdown. Persino quelli che non vedevano l’ora di tornare tra i banchi, adesso preferirebbero di gran lunga restare a casa. Non si tratta di paura del contagio, i ragazzi non la vedono in questo modo, quella paura è più forte nei genitori, si tratta piuttosto di una sorta di pigrizia. Da fare tanto, si sono ritrovati a fare nulla, senza contare che già normalmente, in molti, utilizzando i giochi online, non sentono più la necessità di incontrarsi in piazza come facevamo un tempo” – ha commentato la donna.

A fare eco alla testimonianza di Rosanna, vi è quella di Teresa, la quale ha raccontato di quanto sia stato difficile convincere la propria figlia ad uscire di casa dopo il lockdown.

“A tredici anni avevo sempre voglia di uscire di casa, adesso quasi per paradosso, mia figlia preferirebbe poltrire in casa tutto il giorno. Ho dovuto costringerla questa estate e non sono l’unica mamma ad aver avuto questo tipo di problema. Ho quasi la percezione che mia figlia e i suoi coetanei si accontentino di sentirsi tramite le applicazioni di messaggistica istantanea e dunque, dopo la scuola e le attività pomeridiane non sentano più il bisogno di incontrare realmente i propri amici. Si tratta infatti più di eventi rari e sporadici, come compleanni e occasioni speciali. Dopo i tre mesi di chiusura forzata il problema si è accentuato, provocandomi non poca preoccupazione. Qui non si tratta solo di paura del virus, ma di una tendenza comune. Sono felice che la scuola, nonostante tante problematiche, abbia riaperto le porte, perché un altro periodo di didattica a distanza sarebbe fatale per i giovani” – ha commentato Teresa, madre e impiegata.

A sottolineare questa tendenza, oltre ad esperti come psicologi, educatori e psichiatri, oltre all’associazione “Hikikomori Italia”, costituitasi  proprio con l’intento di sensibilizzare al fenomeno, sono dunque anche i genitori che di fatto, non conoscono il nome specifico della patologia, ma riconoscono nei propri figli atteggiamenti pericolosi di isolamento sociale. Non tutti però la pensano allo stesso modo. A raccontarlo è Marco, un padre di famiglia, convinto che a farla da padrona sia soprattutto la paura degli stessi, aggravata, inevitabilmente, dal momento storico.

“Io non trovo che la situazione sia così grave così come la raccontano, ma è anche vero che spesso, un genitore impaurito, preferisce tenersi stretto i propri figli e dunque gioisca nel vederli a casa, connessi con gli altri, ma non realmente vicini agli altri. Con l’emergenza sanitaria si ha una percezione più amplificata della questione, perché alle paure normali si sono aggiunte quelle dei contagi. Questo non significa che il problema non esista, ma che invece sia necessario riflettere su come siano cambiati i tempi e adattarsi di conseguenza, cercando di spronare genitori e giovani a ridurre i tempi online e a tornare in strada per vivere realmente i rapporti con gli altri e con i territori” – ha concluso Marco, operaio.

Insomma, la problematica secondo alcuni, dovrebbe essere guardata da diverse prospettive. Di fatto però, subito dopo il lockdown, stando a quanto dichiarato da Crepaldi, le chiamate di supporto presso l’associazione, sono aumentate in maniera esponenziale da tutta Italia, arrivando a sfiorare oltre dieci SOS al giorno, perlopiù da parte di genitori disperati, i quali fanno fatica a ripristinare la normalità perduta a causa della reclusione forzata.

“I ragazzi oggi si accontentano di questi incontri virtuali e praticano un distanziamento sociale che, onestamente temo, perché il confronto e la socialità sono necessari per crescere – ha concluso Silvia, madre e maestra di scuola elementare – l’allarme di cui parlano gli esperti è reale, che abbia un nome o no, vanno cambiate molte cose alla radice, mentre credo che non venga dato abbastanza supporto ai giovani per comprendere l’importanza della socialità, basti pensare alla situazione scuole, ci sono stati tanti dibattiti, ma realmente, con tutto il tempo che c’è stato, in pochi hanno attuato soluzioni concrete per il meglio dei ragazzi. La strada è ardua, ma dipende soprattutto dalle istituzioni e dal settore educativo proteggere i giovani e guidarli al meglio”.

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