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Bari e il dramma delle persone diversamente abili: “Fossi normodotata sarei andata via”

La storia di Mariangela, 24enne da mesi alla ricerca di un lavoro, ma nessuno vuole assumerla

Pubblicato da: Francesca Emilio | Gio, 4 Dicembre 2025 - 10:14
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“Se la disabilità supera il 75% non possiamo assumerla”. È la frase che si è sentita dire Mariangela Attolico, 24 anni, barese, laureata in Ingegneria biomedica, durante una selezione per un posto in un call center. Un’affermazione che la giovane ha deciso di rendere pubblica dopo mesi di rifiuti e candidature rimaste senza risposta. Mariangela, dopo due anni trascorsi fuori per motivi di studio, è tornata a Bari lo scorso giugno, con l’intenzione di completare la laurea magistrale e iniziare a cercare un impiego. “Ho iniziato a inviare candidature ovunque – racconta – soprattutto alle aziende più grandi, che hanno l’obbligo di assumere categorie protette. Anche tramite l’ufficio collocamento”. La giovane ha inserito la propria condizione nei curriculum, ma spiega che spesso bastava questo perché non arrivasse più alcun riscontro: “Appena lo leggevano sparivano. Nessuna chiamata, nessuna spiegazione”.

La situazione è precipitata quando ha ricevuto una chiamata per una posizione in un call center. “Ho chiesto se fossero realmente interessati, specificando che appartengo alle categorie protette. Mi hanno risposto: “No, ci dispiace. Se la disabilità supera il 75% non possiamo assumere”. Mariangela si è informata ulteriormente, scoprendo che una simile limitazione non esiste in nessuna normativa sul lavoro. “Si trattava di mansioni al telefono, nulla che richiedesse capacità fisiche particolari”, osserva. Da qui la decisione di raccontare tutto sui social. Una scelta nata dal timore che situazioni simili possano riguardare molti altri candidati: “È la mia prima esperienza lavorativa, volevo solo mettermi in gioco, diventare indipendente. Se rifiutano persino per un impiego da call center, diventa difficile capire che prospettive abbia una persona con disabilità complessa”.

La storia di Mariangela apre (ancora una volta) uno squarcio sulle difficoltà legate all’ingresso nel mondo del lavoro per le persone con disabilità, tra pregiudizi, mancata conoscenza delle norme e ostacoli che spesso non dipendono dalle competenze del candidato, ma non solo. Il tema accende ancora una volta i riflettori sul fronte “barriere” che a Bari, così come evidenziato già da altri e sottolineato anche da Mariangela “non sono solo architettoniche, ma anche culturali” perché sempre più spesso, le persone con disabilità, devono portare avanti lunghe battaglie affinché venga garantito loro anche un semplice diritto. In questo caso, la vicenda, solleva interrogativi più ampi sulla reale applicazione delle politiche inclusive e sull’accesso alle opportunità lavorative da parte delle categorie tutelate dalla legge. La giovane, che ha vissuto a Barcellona prima del rientro in Italia, spiega anche perché oggi non prenderebbe in considerazione un trasferimento altrove: “Per me spostarmi significa affrontare costi molto più alti rispetto a un normodotato: avrei bisogno di vivere da sola, con una badante. È una spesa che come famiglia non possiamo sostenere, tanto meno da sola. Se fossi normodotata non sarei più tornata a Bari”. Nel capoluogo, sottolinea, è riuscita nel tempo a ottenere alcune migliorie legate all’accessibilità dei luoghi che frequenta quotidianamente: “Mi sono costruita il mio spazio, tra rampe e percorsi adeguati. Sono tutte cose che dovrei aver avuto garantite, ma ho dovuto chiederle continuamente per ottenerle. Fuori dall’Italia la vita per le persone con disabilità è più semplice, qui, molto spesso, per ottenere quel poco che serve per vedere garantiti i nostri diritti dobbiamo alzare la voce. La dignità ormai l’ho persa anni fa, ma spero che la mia voce aiuti gli altri a non vivere i miei stessi disagi”, ha concluso.

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