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Il caso di Tifanny: se non è doping, può giocare

Pubblicato da: Dott.ssa Valentina Porzia | Mer, 22 Marzo 2023 - 18:33
Tiffany

Si indica come “doping” l’assunzione di sostanze chimiche e l’impiego di pratiche destinate a migliorare, in modo artificiale e sleale oltre che pericoloso, la prestazione fisica e il rendimento dell’atleta in un evento agonistico. L’assunzione di determinate sostanze dopanti è utile a neutralizzare il processo di affaticamento (nelle discipline sportive di lunga durata l’atleta non percepisce i sintomi della fatica) oppure ad aumentare la capacità di forza (indotta ipertrofia delle masse muscolari). Il fenomeno del “doping” contravviene all’etica sportiva e mette a rischio la salute dell’atleta. Orbene, tali sostanze e metodi sono proibiti non solo dalle autorità sportive ma anche dalla giustizia ordinaria che equipara tale prassi al reato di frode, penalmente rilevante. Tra le sostanze vietate ritroviamo: gli steroidi anabolizzanti, preparato, prodotto sinteticamente, composto da diverse sostanze e il testosterone, ormone sessuale maschile. L’effetto di entrambe è quello di incrementare la massa e la forza muscolare. Nell’ottica di un elenco di sostanze considerate dopanti in continuo aggiornamento, vediamo che il World Anti-Doping Agency (WADA)ritiene illecito: l’eccesso di GH (growth hormone), esogeno che produce un aumento delle dimensioni del corpo, aumenta la massa magra e diminuisce la massa grassa, con conseguente effettivo incremento della forza; l’eritropoietina (EPO), ormone glicoproteico secreto dai reni che stimola l’aumento della produzione dei globuli rossi presenti nel sangue, favorendo le prestazioni sportive di lunga durata (ciclismo, in particolar modo); l’insulina che regola la concentrazione di glucosio nel sangue e può consentire un miglioramento delle prestazione fisica; i diuretici, assunti specialmente dai sollevatori di pesi, dai fantini e dai pugili; gli analgesici e gli antinfiammatori; gli stimolanti, quali l’efedrina, le anfetamine, la caffeina e la cocaina che vengono utilizzate in genere dagli sportivi per acuire i riflessi.  Concentrandoci sugli ormoni androgeni e steroidi anabolizzanti, è utile osservare che gli stessi sono strettamente correlati agli ormoni sessuali maschili e sono le sostanze più frequentemente utilizzate dagli atleti per aumentare le performance sia negli sport professionisti sia in quelli amatoriali. Il testosterone, principale ormone sessuale maschile, è prodotto da cellule presenti nei testicoli ma, come detto, può anche essere utilizzato come farmaco o impropriamente per migliorare le prestazioni in molti sport. Come tale, l’elevata presenza di testosterone è vietata dalla normativa antidoping. Il Comitato Internazionale Olimpico (C.I.O) ha emanato limitazioni, di carattere numerico, relative al livello di testosterone sotto cui non c’è nessun problema. Ne consegue che sopra i livelli di testosterone consentiti si è di fronte a casi di doping.  In stretta connessione con l’argomento, risulta la nuova normativa del CIO, circa i transgender e intersessuali, in vigore a partire da Rio 2016.  In precedenza, la disciplina del CIO, risalente al 2003, prevedeva che prima di gareggiare nelle categorie femminili o maschili l’atleta transgender dovesse sottoporsi a un intervento chirurgico e ad almeno due anni di terapia ormonale. Oggi non è più così. Con le nuove linee guida del CIO, in vigore da Rio 2016, si deve considerare il livello di testosterone nel sangue. L’operazione chirurgica non è più necessaria. Tuttavia, per gareggiare con le donne i livelli di testosterone nel sangue devono essere inferiori ai 10 nanogrammi per litro e questo valore deve essere raggiunto e mantenuto almeno per l’anno precedente alla competizione a cui si vuole partecipare. Per i transgender da donna a uomo, diversamente, non c’è nessun limite da rispettare in quanto soggetti con caratteristiche sessuali femminili ma con identità di genere maschile possono gareggiare senza alcuna limitazione con gli uomini. Per la transizione da uomo a donna, la disciplina sportiva si è allineata alle più moderne normative giuridiche ordinarie, che definiscono l’identità di genere. Appare doveroso evidenziare che, spesso, la transizione può richiedere l’uso di terapie ormonali che, nel caso di sportivi, potrebbero alterare i test antidoping e incorrere nella violazione  dei regolamenti che mirano a reprimere il fenomeno.  Difatti, la terapia ormonale non ha carattere prettamente terapeutico di necessità, come può essere l’insulina per i diabetici ad esempio, ma favorisce l’identità sessuale desiderata. Succede quindi che, nel caso di transizione da donna a uomo, l’endocrinologo deve certificare alla commissione antidoping l’uso di testosterone o di altri farmaci prescritti per favorire la transizione a scopo terapeutico e non dopante. In tutto questo, come già accennato, il livello di testosterone plasmatico deve sempre essere costantemente inferiore a 10 nanogrammi per litro per tutto l’anno precedente alla competizione.

Prevedendo il suddetto limite, è palese che il massimo organo sportivo, il CIO, abbia stabilito le direttive riguardo i controlli da effettuare sugli atleti transgender, col conseguente diritto di quest’ultimi a prendere parte alle manifestazioni sportive, laddove risultino in regola.

Volendo applicare quanto fino ad ora esposto ad un caso concreto, è chiaro che se i canoni disposti dal C.I.O, sono stati verificati, il caso di Tifanny del Golem Software di Palmi, club serie A2, non possa suscitare polemiche e atteggiamenti discriminatori.

La partecipazione al torneo di pallavolo femminile di serie A2 della schiacciatrice, che per anni ha partecipato alle competizioni maschili come Rodrigo, è stata autorizzata dalle Federazioni internazionale e tesserata presso la l’ente nazionale di pallavolo.

Infatti, se le indicazioni del CIO sono state recepite e correttamente applicate dalla Federazione Internazionale di Pallavolo (FIVB) e dalla Federazione Nazionale (FIPAV), sarà solo necessario che quest’ultima e il CONI trovino una regolamentazione per tutelare le atlete.

Evitare abusi e atteggiamenti poco conformi ai dettami di integrazione tipici del mondo sportivo, deve risultare il motore dell’attività di coloro che rappresentano i timonieri della stessa.

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