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Re-Birth: esordio e rinascita per il bassista Pier Bernardi

Pubblicato da: Giuseppe Fraccalvieri | Mer, 22 Marzo 2023 - 18:30

Re-Birth è l’album d’esordio come solista per il compositore e bassista emiliano Pier Bernardi. Si tratta di un album che può contare sulla presenza di musicisti d’eccezione (che suonano con nomi come Skunk Anansie, Sheryl Crow, Ligabue, Peter Gabriel); ma lo stesso Pier Bernardi ha lavorato con grandissimi (come Mike Campese, Darren Ashford, Paul Gilbert e Dave Holmes) e può vantare molte esperienze come quelle con Laura Mars, Giacomo Fusari, Malastrana, Il pianto di Azzurra, Collettivo Zona Bassa. Questo primo disco solista non è però solo grandi firme e tecnica, ma una proposta nata dalle esperienze personali del bassista emiliano, che cerca di arrivare al cuore dell’ascoltatore.

La band che ha accompagnato Pier Bernardi in questo suo primo disco solista è composta da
Michael Urbano alla batteria, Martin Kent “Ace” alla chitarra e Giovanni Amighetti ai synth.

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Osservando i temi dei vari brani, questo Re-Birth sembra avere una fortissima dimensione personale.

Sì, il disco ha una forte matrice personale. Alcuni brani fin da subito hanno avuto una loro ispirazione che li ha fatti nascere, altri invece solo dopo esser stati scritti hanno rivelato il loro significato rispetto al mio vissuto.
Il titolo è una summa di tutto questo processo, la rinascita avviene dopo una serie di avventure ed esperienze, persone e sentimenti. Era arrivato il momento per me di riversare tutto nel linguaggio espressivo che mi appartiene (e a cui sento di appartenere) la musica,  disegnando un percorso personale che includesse i momenti più importanti della mia vita. Quello che un cantautore fa con i testi io l’ho fatto con le note.
L’album era in cantiere nella mia testa già da un paio di anni ma volevo renderlo al meglio per cui ho aspettato fino a che non sono stato sicuro della mia maturazione artistica ed in questo ha giocato un ruolo fondamentale il mio produttore.

Quali sono i ferri del mestiere di Pier Bernardi?

Suono da sempre un Musicman Stingray del 91 che è indubbiamente il basso che più rende il mio suono. La ricerca del suono è stata la cosa più difficile in questi anni, ho sperimentato tanto: Lakland, Yamaha, Fodera e Fender ma alla fine tornavo sempre sul mio Musicman, con il quale ho registrato tutto il disco.
Come amplificazione da sempre uso Ampeg come cassa e Ampeg SVT3 Pro come testata. L’abbinamento per il mio suono è perfetto.
Mi piace il suono pulito nel basso ma non per questo non ho sperimentato ogni tipo di pedale ed effetto! Soprattutto quando suonavo per band che ne richiedevano l’uso, a beneficio di un sound personale del gruppo.
Per il mio disco, però, ho scelto di essere il più pulito possibile. Inoltre in tutto il disco non c’è editing in post-produzione, proprio perché abbiamo voluto tenere i suoni originali miei, di Giovanni, di Ace, di Michael, e degli ospiti che hanno partecipato. Ho ovviamente altri bassi, soprattutto per i lavori in studio dove il suono richiesto è diverso dal mio spontaneo, per questi lavori uso spesso o un Fender Precision del ’73 o un Fender Jazz dell’85.

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Pier Bernardi può vantare diverse collaborazioni importanti.

La band a cui sono più legato è Il Pianto di Azzurra, che ritornerà presto con un nuovo album (che è già pronto). Devo ammettere che però da 7, 8 anni ho suonato con tantissimi artisti sia live che in studio. Ricordo con grande piacere il tour durato 2 anni con Faris Amine, cantautore Touareg e chitarrista molto esperto, con il quale collaboro ancora.
Faris mi ha insegnato molto, soprattutto su quei tempi africani che ancora non conoscevo alla perfezione (insieme all’esperienza di Fulvio Maras alle percussioni, un vero maestro).
Ancora prima ricordo con un sorriso il tour della reunion dei Rats nel 2012, storica rock-band italiana.
In studio nell’ultimo anno porto dentro con grande entusiasmo l’aver registrato l’ultimo disco di Tiziana Ghiglioni con Angela Benelli (primo violino dell’orchestra del maestro Morricone) al violino e Giovanni Amighetti al pianoforte per il quale ho anche composto due dei brani presenti nell’album. E ancora il progetto della NASA, Fermi Paradox, anche questo registrato con Amighetti, David Rhodes, Paolo Vinaccia e Roger Ludvigsen

Leggevo su Facebook, alla voce influenze: “Ennio Morricone, Wagner, Jaco Pastorius, Marcus Miller, Flea, music when it plays well.” Quando la musica suona bene a Pier Bernardi?

La musica per me suona bene quando è vera, quando arriva. Non importa il tecnicismo (che comunque aiuta), ma l’ispirazione. Non importano gli ospiti illustri se poi nel disco non c’è cuore ed è tutto freddo.
I musicisti che ho citato da Morricone a Flea, da Jaco a Miller, pur facendo musica completamente diversa hanno un tratto in comune: la personalità.
Il loro carisma (come quello di altri grandi artisti) è – per me – la dote più importante per riuscire a colpire le persone, perché se suoni bene è ok, ma non basta: bisogna dare di più ma senza volerlo effettivamente fare. È come un surplus che arriva al pubblico, senza che l’artista faccia alcuna fatica a  farlo.
Ecco, è questa la musica che mi piace, ed ecco anche perché ascolto di tutto e vengo influenzato da tutto proprio perché in ogni genere trovo artisti veri… per fortuna!

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Pier Bernardi crede nel caso, in quel momento di “grazia”?

Certo, profondamente. La musica per come la vivo io è fatta di attimi, in molti non succede nulla di speciale ma in alcuni la musica arriva.
In tedesco Einfall è una parola che descrive il momento in cui l’ispirazione cade dall’alto ed entra in noi. A quel punto la senti e devi solo concretizzarla in una forma di linguaggio, per me è la musica.
Con Grace è successo esattamente questo. Un gesto, quello di prendere il basso dal sedile anteriore della macchina dopo il viaggio di ritorno da un concerto estivo, è stato rivelatore di questa Einfall. Quella sera sentivo dentro molta energia. Senza scendere dalla macchina aprii la portiera e mi misi a suonare. Il basso si era completamente scordato, e si era scordato in un modo incredibile, cioè in un’accordatura di re aperto perfettamente intonata. Quindi lo suonai così, curioso di sentire cosa sarebbe accaduto. Nacquero gli armonici e il tapping dell’intro della canzone, subito dopo il tema e nel giro di poco avevo capito che quella era la canzone più ibella che avevo composto fino a quel momento!
Tra armonici, tapping e melodia Grace è un vero ringraziamento alla musica e a quel momento in cui quella canzone mi cadde dentro. Non ho dovuto far altro che suonarla. Non mi sono sbagliato  a considerarla una canzone magica. Grace sarebbe dovuta essere un brano di solo basso, l’unico dell’album. Mesi dopo, quando arrivarono in studio David Rhodes, Paolo Vinaccia e Roger Ludvigsen per lavorare al progetto Fermi Paradox, decidemmo di suonare solo una volta tutti insieme Grace, perché Amighetti l’aveva fatta ascoltare poco prima in studio e  quei grandi musicisti ne erano rimasti piacevolmente stupiti.  Ne sono molto orgoglioso e il risultato di quell’unica take è la traccia numero 6 dell’album.

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