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Pasta italiana senza grano italiano, l’allarme della Cia

Al frumento ucraino si aggiunge quello che arriva in Italia da altri paesi

Pubblicato da: redazione | Mer, 26 Aprile 2023 - 12:16

“Può definirsi ‘italiana’ la pasta che viene realizzata senza utilizzare grano duro italiano? E’ una domanda che poniamo ai consumatori, alle associazioni che ne difendono i diritti, a chi parla di ‘sovranità alimentare’ senza svelare cosa c’è dietro il vero e proprio tracollo delle quotazioni del frumento duro italiano e la conseguente diminuzione in Italia delle superfici coltivate per produrre grano. Noi ci stiamo mobilitando con una piattaforma di richieste al Governo italiano, proposte sostenute da una petizione pubblica. Occorre che la mobilitazione diventi di tutti gli italiani, ne va non solo del futuro della filiera grano-pasta, ma anche della salute dei nostri figli”. Gennaro Sicolo, presidente regionale di CIA Puglia e vicepresidente nazionale di CIA Agricoltori Italiani, torna sulla questione cerealicola. C’è un apparente paradosso a dominare la scena: la materia prima è sempre più deprezzata, anche a causa dell’importazione massiccia di grani esteri che spingono verso il basso le quotazioni del frumento italiano, ma la pasta nei supermercati costa sempre più cara e le grandi marche stanno ‘mietendo’ profitti in crescita esponenziale, mentre le aziende cerealicole sono in crisi.

“C’è una guerra sciagurata e tragica, quella in corso tra Russia e Ucraina, che ha conseguenze pesanti anche sulla cerealicoltura italiana. Al grano ucraino, lo sapete, molte nazioni hanno chiuso le porte. L’Italia è il paese europeo che ne assorbe la maggiore quantità. Al frumento ucraino si aggiunge quello che arriva in Italia da Kazakistan, Canada, Francia, Australia e da altri paesi. Non contestiamo la necessità di importare una quota di grano dall’estero per coprire parte del fabbisogno industriale – ha spiegato Sicolo – ma temiamo che quella quota si avvii a essere maggioritaria e che l’aumento incontrollato delle importazioni porti alle estreme conseguenze una dinamica già in atto: la riduzione progressiva della produzione di grano italiano, la chiusura di centinaia di aziende cerealicole e la perdita di migliaia di posti di lavoro. Su quale tipo di terreni e con quali metodologie vengono coltivati i grani che arrivano in Italia? Ce lo siamo chiesti? Hanno la stessa qualità e i medesimi standard di sicurezza alimentare che i produttori cerealicoli italiani garantiscono al loro grano?”.

IL TRACOLLO. Già nel 2021, si importava il 44% del grano duro impiegato per realizzare la pasta italiana. La soglia che inverte le proporzioni è sempre più vicina. La produzione del frumento italiano di maggior pregio e qualità ha avuto un calo rilevante nel 2022, a causa di una serie di fattori convergenti, non ultimo l’aumento spropositato dei costi di produzione. Nel 2020, seminare-coltivare e poi procedere alla raccolta di grano duro costava ai produttori, per ogni ettaro, 878 euro; nel 2021 il costo per ettaro è arrivato a 1158 euro; nel 2022 il record, con 1.402 euro di costi di produzione per ettaro. Di contro, le quotazioni riconosciute al grano duro italiano, negli ultimi 10 mesi, sono passate dai 580 euro/tonnellata del 29 giugno 2022 (quotazione alla Borsa Merci di Foggia della tipologia “FINO”) ai 365 euro/tonnellata della stessa tipologia di frumento nella seduta dello scorso 19 aprile. Un decremento netto di 215 euro/tonnellata.

GRANAIO ITALIA. “In gioco, lo ribadiamo, ci sono la sicurezza alimentare e il futuro della filiera italiana di grano, pasta e pane. “Per questo motivo, se davvero crediamo nel valore strategico della nostra Sovranità Alimentare, allora il sistema e i meccanismi di Granaio Italia devono essere subito attivati”. L’avvio del nuovo sistema prevede azioni di contrasto, e naturalmente le relative sanzioni, verso fenomeni speculativi. Tutto questo anche a maggiore tutela per i consumatori, poiché il monitoraggio più stringente sulle operazioni di carico e scarico dei cereali, anche di quelli importati, aumenta la sicurezza alimentare. “Il tracciamento interno”, ha spiegato Sicolo, “è fondamentale: non possiamo permettere che la sicurezza alimentare sia messa in secondo piano rispetto a chi vuole spingere valore e qualità verso il basso pur di incrementare i propri profitti a danno dei cerealicoltori e dei consumatori”.

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