In Puglia il lavoro fatica a essere ciò che dovrebbe: un diritto, una fonte di dignità, uno strumento di crescita personale e collettiva. Trent’anni di politiche economiche guidate dal neoliberismo hanno trasformato questa prospettiva in un miraggio per troppi, lasciando dietro di sé disuguaglianze crescenti, salari sotto la soglia della dignità e una povertà diffusa che colpisce soprattutto le famiglie.
La fotografia emersa dall’indagine condotta da Osservatorio Futura e Fondazione Di Vittorio, presentata oggi a Cerignola in occasione del 68° anniversario della scomparsa di Giuseppe Di Vittorio, conferma ciò che chi lavora quotidianamente nei territori e nei luoghi di lavoro già conosce: contratti precari, lavoro stagionale o intermittente, retribuzioni che per oltre la metà dei casi non superano i 1.400 euro netti. E dietro questi numeri c’è un dramma concreto: il 58% dei lavoratori fatica ad arrivare a fine mese. La Puglia, secondo la Cgil, è la regione con più famiglie in povertà relativa, una su quattro, e il contesto peggiora quando a queste condizioni si aggiunge un welfare indebolito e servizi pubblici sotto pressione.
Per Di Vittorio, il lavoro era molto più di un mezzo economico: era un pilastro della Costituzione, il fondamento di una società giusta, libera e partecipata, capace di valorizzare le competenze di ciascuno e di garantire una vita dignitosa. Oggi, osserva la segretaria generale della Cgil Puglia Gigia Bucci, quel principio sembra lontano: il lavoro è tornato a essere principalmente uno strumento di profitto, con tutele sempre più ridotte e opportunità sempre più limitate, soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto e nell’innovazione.
Il risultato è una progressiva erosione del potere d’acquisto, aggravata dall’aumento dell’inflazione e dai costi crescenti di energia e beni di prima necessità, che i piccoli incrementi salariali e pensionistici riescono solo in minima parte a compensare. In Puglia e nel Mezzogiorno, spiega Bucci, queste dinamiche diventano ancora più pesanti per le fragilità strutturali del tessuto economico e sociale: chi lavora è più esposto a ricatti occupazionali e sfruttamento, con conseguenze dirette su sicurezza, incidenti sul lavoro e fuga dei giovani. Dal 2002, oltre 700mila persone hanno lasciato la regione, una parte consistente di under 35 in cerca di opportunità altrove.
L’indagine non è solo una fotografia della realtà attuale, ma un richiamo urgente: se il lavoro tornerà a essere considerato un bene comune, capace di generare non solo reddito ma anche crescita sociale e culturale, sarà possibile invertire la rotta. Fino ad allora, per troppi pugliesi il lavoro rimarrà uno strumento fragile, a volte insufficiente, di sopravvivenza più che di realizzazione.