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Diventare madre dopo un tumore al seno, la ricerca aumenta la speranza

Pubblicato da: redazione | Sab, 14 Gennaio 2023 - 09:52
foto freepik

Solo il 5% delle donne under 40 colpite da tumore al seno diventa madre dopo la malattia, ma uno studio presentato al San Antonio Breast Cancer Symposium in Texas negli USA ha dimostrato che è possibile sospendere le cure per avere un figlio attivando una rete di oncofertilità. Lo studio Positive ha dimostrato che interrompere la terapia ormonale per 2 anni non aumenta il rischio di recidiva: il 74% delle donne ha avuto una gravidanza e il 64% l’ha portata a termine. “Ma vanno migliorati i percorsi dedicati alla prevenzione dell’infertilità in tutte le regioni – ha spiegato Lucia Del Mastro, ordinaria di oncologia all’Università di Genova-. L’ospedale San Martino è un esempio virtuoso: da 20 anni è presente l’unità di oncofertilità”. La ricerca ha coinvolto 518 donne under 42 con carcinoma mammario in stadio iniziale positivo per i recettori ormonali. In questi casi, la terapia endocrina viene somministrata per ridurre il rischio che la malattia si ripresenti e il tasso di recidiva a tre anni è stato dell’8,9%.

 L’appello a potenziare la rete italiana di oncofertilità viene dal congresso ‘Back From San Antonio’ che si è aperto oggi a Genova. “In circa il 70% dei casi il carcinoma della mammella presenta i recettori ormonali positivi e richiede per un periodo di 5 anni il trattamento con terapia endocrina, che riduce il rischio di recidiva ma sopprime la funzione ovarica e la possibilità di avere un figlio – spiega Lucia Del Mastro -. Per la prima volta, lo studio Positive evidenzia che, dopo un anno e mezzo, è possibile sospendere la terapia endocrina per due anni per avere un figlio e poi riprendere il trattamento. Sono state osservate anomalie congenite nel 2% dei bambini, simile alla popolazione generale, e il 60% delle donne ha allattato”.

“A Genova è stata definita una delle tre principali tecniche di preservazione della fertilità, cioè l’utilizzo di farmaci, analoghi LH-RH, per proteggere e mettere a riposo le ovaie durante la chemioterapia – sottolinea Matteo Lambertini, professore Policlinico San Martino -. Le altre tecniche sono costituite dalla crioconservazione degli ovociti o del tessuto ovarico”.

(Foto freepik)

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