Ad inizio campionato, il presidente della SSC Bari (pardon… amministratore unico), Luigi De Laurentiis, aveva dichiarato che l’obiettivo dei biancorossi per il torneo cadetto 2024/25 sarebbe stato il raggiungimento dei playoff: “Andremo a competere per arrivare ai playoff, sicuramente in un campionato così competitivo dove ci sono tante squadre ben allestite anche noi saremo competitivi e punteremo in alto”. Un’intenzione confermata e ribadita anche a fine novembre:”Io ho sempre detto che puntavamo ai playoff, ma sapevo fosse un campionato complicato”.
Un traguardo realistico, se rapportato alla disastrosa stagione precedente culminata con un drammatico playout contro la Ternana, ma tutt’altro che adeguato a una piazza come quella barese, che in Serie B ha spesso potuto contare su organici costruiti per la promozione diretta: è accaduto negli anni migliori della gestione Matarrese e persino durante le sciagurate esperienze targate Paparesta e Giancaspro.
E invece questo Bari, guidato da Moreno Longo, è riuscito a fare anche peggio, mancando l’accesso alla fase finale del torneo e chiudendo con un anonimo nono posto, che sancisce la fine anticipata della stagione. L’organico costruito dal direttore sportivo Magalini poteva – e doveva – offrire molto di più, a prescindere dalle modalità con cui sono stati ingaggiati i vari giocatori. Di conseguenza, anche Longo e la squadra portano sulle spalle le loro responsabilità, pur avendo operato in un contesto societario privo di ambizione e in un ambiente rassegnato e apatico. E nel calcio si sa: senza la spinta emotiva del pubblico e in assenza di un progetto credibile, anche per dei professionisti diventa difficile trovare le motivazioni giuste per dare quel qualcosa in più, perfino per raggiungere un obiettivo modesto come i playoff.
Tolte Sassuolo e Pisa, poche altre formazioni si sono dimostrate realmente superiori, almeno sulla carta, rispetto alla compagine biancorossa, capace di disputare ottime gare (poche) ma anche protagonista di prestazioni mediocri (molte). Senza dubbio l’impatto iniziale di Longo è stato positivo, sia sul campo sia in conferenza stampa: il suo Bari delle prime giornate mostrava intensità e voglia, raccogliendo consensi per gioco e atteggiamento. Ma, come già detto, col tempo questa energia si è affievolita, non alimentata da ciò che circondava la squadra e il Bari 2024/25 si è trasformato in una formazione normale, fin troppo simile a quella spenta dell’anno precedente.
È vero: almeno quest’anno ci siamo salvati senza soffrire come nella scorsa stagione. Ma il tifoso barese non può certo accontentarsi di un nono posto. E soprattutto non può ascoltare il direttore sportivo Magalini affermare: “Non stiamo parlando di una retrocessione. Non arrivare ai playoff non è mica la fine del mondo”. Parole superficiali, oltre che irrispettose verso una tifoseria passionale e affamata di risultati. Evidentemente, Magalini non ha ancora ben compreso il contesto in cui opera. Eppure, a voler essere onesti, il dirigente veneto non ha lavorato male, dovendo muoversi in regime di autogestione e ricostruire quasi completamente la rosa dopo l’addio di Polito.
L’ex uomo mercato del Catanzaro ha portato a Bari elementi validi come Mantovani, Radunovic, Obaretin, Simic, Oliveri, Favasuli, Maggiore e Favilli. Certo, ci sono stati anche acquisti meno riusciti, come Coli Saco, Falletti o altri giocatori dal rendimento altalenante. Ma nel complesso, l’organico era competitivo e, con un ambiente diverso e una società più presente, il Bari avrebbe potuto ambire a ben altre posizioni, più coerenti con la storia e il valore della piazza. Tuttavia, questo non può rappresentare un alibi per Longo e i suoi uomini, che sono stati ingaggiati e retribuiti per portare a termine il proprio lavoro fino in fondo.
Nel calcio, come nella vita, bisogna fare i conti con la realtà: ben diciotto giocatori lasceranno la rosa e ancora una volta si ripartirà da zero. Le certezze da cui ricominciare sono pochissime, e questo modo di fare calcio si sta rivelando pericolosamente instabile, esponendo il Bari a rischi sempre maggiori. Prima di tutto, occorrerà capire se Longo e Magalini verranno confermati. A sensazione, la permanenza del tecnico piemontese appare improbabile, mentre l’ex ds del Catanzaro sembra avere la fiducia della proprietà.
La speranza è che non si ripeta il consueto, deleterio silenzio che caratterizza da anni la gestione De Laurentiis, soprattutto al termine di stagioni fallimentari: sarebbe l’ennesimo colpo al legame – già logoro – tra società, squadra e tifosi. Un pubblico che, tra spalti e social, sta manifestando tutto il proprio disappunto: c’è chi annuncia il boicottaggio fino al 2028 (termine ultimo della multiproprietà) e chi invoca proteste ancora più accese.
Cosa dobbiamo attenderci, allora, dai De Laurentiis nei prossimi mesi? L’auspicio è che cedano al più presto il club, ma la realtà potrebbe essere ben più amara e scontata: un’altra stagione all’insegna dell’improvvisazione, dei prestiti, della mancanza di ambizione e delle solite promesse, nella speranza di valorizzare qualche giovane da spedire a Napoli o scovare altri Dorval o Cheddira da rivendere alla prima squadra della Filmauro, per cifre ben inferiori al reale valore di mercato. È questo il modo giusto di fare calcio a Bari? No. È il modo migliore per spegnere definitivamente la passione e far morire, una volta per tutte, il calcio nel capoluogo pugliese.
Foto Ssc Bari