Un tempo lo specchio era il nostro unico giudice, oggi c’è anche e soprattutto lo schermo del nostro smartphone. Like, commenti e reaction hanno sostituito lo sguardo interiore, ridefinendo il nostro rapporto con noi stessi. Ogni notifica che arriva è una piccola scarica di dopamina, una conferma che qualcuno ci ha visto, approvato, notato.
Non pubblichiamo solo per condividere un momento o un pensiero, ma per ottenere quel ritorno emotivo che ci fa sentire validati. Un “mi piace” non è più un gesto leggero, è diventato un micro-riconoscimento della nostra esistenza.
I social hanno trasformato la sfera privata in una vetrina. In questo, l’ego si è adattato: non basta più sentirsi bene con sé stessi, bisogna sentirsi accettati, riconosciuti, applauditi dagli altri. L’identità online è diventata una negoziazione continua con lo sguardo altrui. Scegliamo le versioni più curate, le foto più luminose, le parole più sicure. Ci costruiamo come una vetrina e finiamo per confondere ciò che siamo davvero con ciò che vogliamo far vedere o che vorremmo essere.
E se da un lato questo nuovo “ego social” può anche stimolarci a prenderci più cura della nostra immagine, a comunicare meglio, a sentirci parte di una comunità globale, allo stesso tempo rischia di renderci dipendenti dal giudizio esterno, incapaci di dare valore a noi stessi se non attraverso il numero dei like.
Forse la vera domanda oggi è semplice ma difficile: chi siamo, al di là dello sguardo altrui?