Sumit sotto i portici e ordini anche dal carcere, così il clan Strisciuglio controllava la città. E’ quanto emerso nel corso della conferenza in cui sono stati spiegati i dettagli dell’operazione tenutasi questa mattina all’alba dai Carabinieri del Comando provinciale nel corso della quale sono state eseguite 12 ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di presunti affiliati al clan Strisciuglio, su richiesta della DDA di Bari. L’operazione, supportata da elicottero e unità cinofile, è il risultato dell’indagine “Lockdown”, condotta tra il 2019 e il 2023 dal Nucleo Operativo della Compagnia Bari San Paolo e considerata un approfondimento della maxi-inchiesta “Vortice–Maestrale”.
Secondo la ricostruzione investigativa accolta dal GIP (fatte salve le verifiche processuali), il gruppo avrebbe gestito per anni un vasto traffico di stupefacenti nel quartiere San Paolo, utilizzando depositi nascosti – le cosiddette “cupe” – dove i carabinieri hanno trovato droga, armi clandestine e da guerra, munizioni e denaro contante, a volte contrassegnato con i nomi degli affiliati destinati a ricevere il sostegno economico. La cassa comune sarebbe servita anche a pagare l’assistenza legale dei sodali arrestati e a sostenere economicamente detenuti e familiari, così da scoraggiare eventuali collaborazioni con la giustizia o il passaggio a clan rivali.
Nel corso dell’indagine sono stati recuperati manoscritti con formule rituali di affiliazione, giuramenti e regole interne, elementi ritenuti indicativi della struttura gerarchica della consorteria. Durante il lockdown, gli investigatori hanno documentato veri e propri summit mafiosi sotto i portici delle case popolari del San Paolo, in cui venivano decise estorsioni, intimidazioni, pestaggi e sparatorie. Tra gli episodi contestati spicca la serie di colpi d’arma da fuoco esplosi nel marzo 2020 contro un bar, un’autovettura e una macelleria, nell’ambito delle tensioni con la famiglia Vavalle, storica rivale degli Strisciuglio.
Nonostante diversi vertici fossero detenuti, il gruppo avrebbe continuato a ricevere e impartire disposizioni dall’interno degli istituti di pena, tramite familiari e – secondo gli atti – anche attraverso telefoni cellulari detenuti illegalmente. Gli indagati avrebbero mantenuto una contabilità rigorosa, con incontri settimanali dedicati alla ripartizione dei proventi delle varie attività illecite.
Le accuse vanno dall’associazione mafiosa al traffico e spaccio di droga, dalle estorsioni alle armi clandestine, fino agli attentati e alle lesioni aggravate dal metodo mafioso. Il procedimento si trova ancora nella fase delle indagini preliminari: seguiranno gli interrogatori di garanzia e, come sempre, l’eventuale responsabilità dovrà essere accertata in dibattimento nel rispetto del contraddittorio.