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Così i clan avevano il monopolio delle slot machine a Bari: commercianti come “pupazzi”

Pubblicato da: Daniele Leuzzi | Gio, 9 Gennaio 2020 - 13:00
volpe procura

Anemolo, Strisciuglio, Capriati. Gli storici gruppi criminali di Bari, anche rivali tra loro, hanno un unico punto d’accordo: il riciclaggio di denaro e la produzione di nuovo capitale all’interno del mercato legale. Lo ribadisce l’indagine della Guardia di Finanza nel settore delle macchinette Vlt (video poker o slot machine) che ha portato all’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 36 soggetti: 27 in carcere e 9 agli arresti domiciliari.

La grande “pax” mafiosa era basata su un’unica figura imprenditoriale, quella di Baldassare D’Ambrogio detto “Dario”, capace di imporre il noleggio delle apparecchiature da gioco attraverso l’appoggio degli esponenti dei sodalizi egemoni nei rispettivi territori. Di fatto l’uso della forza e l’intimidazione psicologica, tra usura ed estorsione, aveva smantellato la concorrenza delle altre imprese di settore. “Queste persone si mettono a portare cose e il bar non è più mio, faccio il pupazzo”, racconta in una intercettazione telefonica un piccolo imprenditore barese titolare di una rivendita di tabacchi, vessato dalle pressanti richieste.

“Le indagini durate due lunghi anni – commenta il procuratore Giuseppe Volpe – hanno fatto emergere il coinvolgimento di personaggi famosi della mala locale. Questo business rappresentava il gotha di tutti i clan più importanti della città”.

Rispetto alle dinamiche del gioco d’azzardo effettuate in passato, come nel film cult “LaCapaGira” (1999), non è più necessario truccare le macchinette per soggiogare il povero malcapitato. Alla criminalità era sufficiente “concedere” come previsto dalla legge il 25% delle vincite rispetto al denaro introdotto nel sistema. L’obiettivo era quello di ripulire il denaro contante: “Si tratta di un riciclaggio enorme – spiega Volpe – la criminalità è riuscita a infiltrarsi nel sistema legale del gioco per ricavare centinaia di milioni di euro. Ogni imprenditore pagava il pizzo mensile, non sempre come vittima, con due modalità: o con un fisso per macchinetta o in base alla percentuale delle giocate. In questo modo l’impresa criminale riusciva a crescere velocemente”. Le indagini hanno infine acclarato che l’attività usuraria  che consentiva la corresponsione di tassi oscillanti tra il 125% ed il 2.000% annuo.

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