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L’Università di Bari nell’esperimento “Luna”: il racconto sulla nascita dell’universo

Pubblicato da: redazione | Mar, 17 Novembre 2020 - 13:00
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Grazie allo schermo da radiazioni cosmiche dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, 1400 m di roccia che proteggono la misura da interferenze esterne, l’esperimento LUNA (Laboratory for Underground Nuclear Astrophysics), usando un acceleratore di particelle, è in grado di riprodurre con alta sensibilità le reazioni che sono avvenute durante la Nucleosintesi Primordiale (BBN) e che avvengono tutt’ora nelle stelle. L’esperimento è stato effettuato sotto 1400 metri di montagna.

LUNA è una collaborazione scientifica internazionale composta da circa 50 ricercatori italiani, tedeschi, britannici ed ungheresi. In particolare, collaborano all’esperimento: i Laboratori Nazionali INFN del Gran Sasso, le Sezioni INFN e le Università di Bari Aldo Moro, Genova, Milano Statale, Napoli Federico II, Padova, Roma Sapienza, Torino e l’Osservatorio di Teramo dell’INAF Istituto Nazionale di Astrofisica per l’Italia; l’Helmholtz-Zentrum Dresden-Rossendorf per la Germania, la School of Physics and Astronomy dell’Università di Edimburgo per il Regno Unito, il MTA-ATOMKI di Debrecen e il Konkoli Observatory di Budapest per l’Ungheria.

L’epoca della Nucleosintesi Primordiale (BBN) inizia circa tre minuti dopo la nascita dell’Universo e rappresenta un punto cruciale nella sua storia non del tutto svelata. La reazione chiave di questo processo alla base degli elementi più leggeri è quella che trasforma un protone e un nucleo di deuterio in Elio3. L’esperimento LUNA nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN)  ha studiato con grande precisione questa reazione che ha implicazioni cosmologiche fondamentali.

Quando la BBN iniziò, l’Universo era una mistura caldissima nella quale neutroni e protoni erano sommersi da un mare di fotoni e neutrini; man mano che l’Universo si espandeva e si raffreddava, neutroni (n) e protoni (p) hanno cominciato ad aggregarsi formando per primo il deuterio (p,n), isotopo pesante dell’idrogeno (H), e poi in seguito Elio-3 (2p,n) e infine Elio-4 (2p,2n).  A questo punto l’Universo consisteva circa del 75% di nuclei idrogeno e circa 25% di nuclei 4He con tracce di deuterio, Elio3, e Litio7. Il Big Bang è stato così l’origine dei due più abbondanti elementi presenti nell’Universo, Idrogeno ed Elio.

Elementi più pesanti del Litio7 sono stati generati all’interno delle stelle in seguito alla loro formazione e quelli più pesanti del Ferro solo molto più tardi con la morte delle stelle (supernove). Osservazioni effettuate con diverse metodologie hanno confermato che l’abbondanza primordiale di Elio4 era del 25%. Misure del deuterio (d) nell’Universo remoto offrono ulteriori e cruciali informazioni, perché il rapporto dell’abbondanza d/H dipende sensibilmente dalla densità nel cosmo della materia Barionica, cioè  neutroni, protoni e tutti i loro modi di aggregarsi negli elementi della tavola periodica.

In particolare la misura della sezione d’urto del processo che trasforma protone e deuterio in Elio3 è stata realizzata con altissima precisione (≤3%) e ha permesso a modelli teorici della BBN  di valutare l’abbondanza di deuterio primordiale. La densità di materia Barionica, di cui è fatto tutto ciò che conosciamo, compresi gli esseri viventi, così ottenuta è in ottimo accordo con i valori ottenuti indipendentemente dalle misure del CMB (Cosmic Microwave Background) cioè la radiazione cosmica di fondo, residuo fossile del Big Bang. I risultati di questa misura estremamente delicata compiuta dall’esperimento LUNA sono stati pubblicati sul numero di Nature del 11 novembre 2020 .

La Sezione INFN e il Dipartimento di Fisica dell’Università di Bari collaborano all’esperimento LUNA da diversi anni con l’impegno dei ricercatori F.Barile, V.Mossa, F. Pantaleo, L.Schiavulli, V. Paticchio, R. Perrino e di tutto lo staff tecnico. Il gruppo di Bari ha contribuito in modo fondamentale all’esperimento sin dalle fasi  di progettazione, test e costruzione dell’apparato sperimentale, nonché alle successive prese dati e analisi degli stessi. In particolare, l’ articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature ha come primo firmatario un collaboratore barese a testimonianza della rilevanza del contributo fornito.

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