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Puglia, il settore spettacolo in crisi dopo un anno di Covid

Pubblicato da: Samantha Dell'Edera | Mar, 16 Maggio 2023 - 12:55

“Dopo un anno ci sono circa 2mila persone che stanno decidendo di mollare tutto nonostante anni di qualifiche professionali”. E’ lo scenario pugliese descritto da Felice Mezzina, musicista che da circa 30 anni, al fianco della CGIL, cerca di portare all’attenzione delle istituzioni la situazione drammatica del settore, letteralmente travolta dalla pandemia, ma non solo. Da aziende, imprese e associazioni legate al settore che hanno chiuso per sempre le proprie attività, fino ad arrivare a professionisti, artisti e tecnici, che a causa dell’assenza di lavoro, ma anche dei ritardi nei ristori, non riescono ad andare avanti e sono costretti, inoltre, molto spesso, ad essere complici, anche se involontari, di un sistema che vede da troppo spesso negati i loro diritti. Sono solo alcune delle problematiche legate al settore.

In particolare, in Puglia secondo quanto raccontato da Mezzina, il 35% delle aziende di imprese, cooperative e associazioni che riguardavano lo spettacolo, hanno chiuso. “Le problematiche sono ancora tante” – ha spiegato ricordando la data emblematica del primo maggio, in cui si celebra il lavoro. “L’anno scorso si è verificato un problema assurdo – prosegue – questa categoria di lavoratori non viene riconosciuta come tale, ci sono leggi contraddittorie e obsolete. Ci sono una serie di obblighi che i datori di lavoro bypassano e negano. Solo il 5% dell’intera platea dei lavoratori dello spettacolo ha diritti garantiti. Tutti gli altri, parliamo di oltre 400mila tra artisti e tecnici dello spettacolo, non hanno garanzie. In molti accorpano il settore spettacolo alla formazione. Io che lavoro 2 giorni al mese con uno spettacolo e 20 giorni al mese con la didattica, fiscalmente risulto essere due persone diverse. E’ una delle origini di questo sfacelo, già risolto in tutti gli altri paesi d’Europa” – ha sottolineato.

Anche in vista delle riaperture, i problemi proseguiranno. “Quest’anno ci sono stati sei interventi in quanto ristori, ma il 60-65% dei lavoratori non ha potuto avere nulla – ha spiegato – il nuovo Governo ha trovato un accordo per diminuire i contributi: da dicembre chi può ottenere i ristori prende 800 euro. Dall’ultimo sono passati 4 mesi, la gente per tutto questo tempo non ha avuto niente. Ma ancora più grave è il fatto che abbiamo scoperto che sul nostro territorio ci sono moltissimi enti pubblici comunali che cercano di aggirare le leggi. Abbiamo aperto diversi contenziosi”.

In particolare, specifica Mezzina, 3 comuni su 4, nel 2019 hanno fatto lavorare a nero, chiedendo ai lavoratori di versarsi contributi in seguito a prestazione occasionale, cosa che normalmente spetta al datore di lavoro. La conseguenza, sottolinea Mezzina “è disarmante”: ci sono moltissimi invisibili che, letteralmente, non sono riconosciuti dallo stato nonostante il lavoro svolto e il problema potrebbe protrarsi. “E’ un vero e proprio meccanismo di ricatto e noi siamo costretti a questa cultura mafiosa dell’omertà da 30 anni, perché è chiaro che, se qualcuno avesse denunciato, avrebbe ricevuto ostracismo e non avrebbe lavorato più con quel Comune – ha sottolineato senza nascondere la rabbia – adesso la gente è alla fame, quindi sta trovando il coraggio di denunciare. In Puglia, prima della partenza di questa follia c’erano quasi 9mila iscritti alla previdenza Inps. Le giornate medie lavorative erano 36 l’anno, in questi numeri ci sono circa 300 inquadrati, gli altri 8.500 in pratica, lavoricchiano. La riapertura è pericolosa tanto quella dell’anno scorso” – ha dichiarato. Con le riaperture dell’anno scorso, nello specifico, ha lavorato solo il 20% delle attività che hanno potuto, effettivamente, riprendere. Si tratta, in particolare, di quelle che avevano sostegno pubblico. Il rischio, secondo Mezzina è che la parte restante, se dovesse accettare di fare anche una sola giornata lavorativa la prossima estate, perderà il diritto ad ottenere i sostegni, con il rischio che in molti, saranno costretti dal sistema, non solo a farsi concorrenza sleale, ma anche ad alimentare il circuito del lavoro nero. “Se mi capita un festival sono fortunato – sottolinea – ma se faccio anche una sola giornata e mi danno pure 200 euro devo rinunciare agli 800 di ristoro. E’ impensabile campare con 200 euro al mese. Quello che accade oggi è la conseguenza di un crimine che si è stratificato negli anni, il nostro obiettivo è diventare un paese normale. Adesso siamo in un braccio di ferro su un tavolo permanente con le organizzazioni. Le cose non sono ferme, lo scenario è in piena corsa. Dove finisce lo decidiamo noi. Ci sono persone che stanno decidendo di mollare perché non ce la fanno, ma altri hanno la forza di andare avanti pretendendo la legalità, se la politica farà finta di non vedere, sarà collusa”.

Alle sue parole fanno eco quelle di Graziana Campanella, in arte Jana, cantante barese che normalmente, oltre a studiare musica, lavorava effettuando spettacoli, soprattutto nel settore del Wedding. “I dubbi sono tanti – commenta – la maggior parte dei musicisti pugliesi non è stato considerato nel decreto riaperture. Se nel primo lockdown si sono dimenticati i musicisti come lavoratori, ora si sono dimenticati il settore più proficuo nel quale lavoriamo. Non sappiamo se iniziare a pensare ad un’altra realtà lavorativa. Preferirei che mi dicessero in maniera esplicita che non si può lavorare con la musica, ma non ci danno disposizioni e viviamo nell’incertezza da più di un anno. Si tratta di una questione anche culturale, in molti hanno difficoltà a credere in questo lavoro al pari di altri. Non avere prospettive, stare fermi in bilico ad aspettare che qualcuno ci dica come poter fare è dura. Ci hanno tolto il primo articolo della costituzione, ci sono tanti sogni infranti. E’ avvilente e offensivo quello che accade nei nostri confronti. Il settore va regolarizzato. Dobbiamo reinventarci” .

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