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Luigi Tenco, dall’amore alla rivoluzione

Pubblicato da: Ylenia Bisceglie | Dom, 13 Febbraio 2022 - 14:00
Luigi Tenco

Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Mi sono innamorato di te”. Bellissimo, talentuoso, giovane. Troppo giovane per una fine così cruda. Luigi Tenco, incurabile sognatore, ha lasciato il suo pubblico all’età di 28 anni sparandosi un colpo di pistola.

È il 1967 e Luigi viene ritrovato disteso senza vita nella sua camera d’albergo a Sanremo, in una delle giornate del noto Festival. Nessuna perizia balistica, nessuna autopsia sul suo corpo.

Una promessa della musica italiana che sceglie di porre fine alla sua vita probabilmente perché non abbastanza apprezzato dal pubblico. Diverse sono infatti le ipotesi sulle motivazioni che lo hanno portato a compiere tale atto, ma la più accreditata è che abbia scelto di farlo perché la sua canzone “Ciao amore ciao”, interpretata con la cantante francese Dalida, venne bocciata e non passò in finale in quell’edizione di Sanremo. La verità in merito certamente non la sapremo mai, ma ciò che sappiamo è che in pochissimi anni ha saputo regalarci brani indimenticabili.

Tenco e la musica d’autore

Il suo carattere introverso, talvolta solitario, la sua personalità complessa si riflettono in ogni suo testo, in ogni sua parola. Nato in Piemonte, ma vissuto a Genova, Tenco fa parte di quei cantautori che sostengono la musica d’autore, che fremono per la rivoluzione del linguaggio nella musica italiana. Negli anni ’60 si assiste ad una volontà di cambiamento radicale da parte di autori del calibro di Gino Paoli, De André, che usano parole e atteggiamenti di rottura rispetto a quelli proposti dalla radio e dalla nuova televisione.

Luigi Tenco e le canzoni d’amore

Tenco usa parole sensibili, delicate, parla di amore e tanto altro e lo fa anche a costo di essere censurato dalla Rai. Brano simbolo del suo percorso canoro è indubbiamente “Mi sono innamorato di te”. Nel ’62 questo brano rompe lo schema della canzone d’amore che convoglia l’illusione romantica. Descrive con onestà disarmante l’innamoramento, lo fa in modo semplice. Al di là delle teorizzazioni, dei manuali, Luigi Tenco riassume perfettamente la dinamica che avvicina fisicamente e mentalmente due corpi, talvolta perché soli, l’uno all’altro. Quello che ne risulta nel finale è la nascita di un sentimento vero, che porta l’uomo a cercare la sua donna, che cede alla bellezza dell’emozione. “Mi sono innamorato di te, e adesso non so neppure io cosa fare, il giorno mi pento d’averti incontrato, la notte ti vengo a cercare”.

Al centro dei suoi brani c’è la musica più che le parole e forse per questo, quando canta lo fa con grande teatralità. Il cantautore mette in discussione la società, l’autorità politica ed ecclesiastica.

Dall’amore alla rivoluzione

Da annoverare è sicuramente “La ballata della moda”, brano nel quale Tenco, immedesimandosi nel personaggio protagonista, prova a discernere sulle motivazioni che portano la massa a seguire la moda, della capacità di autoconvincersi di seguirle per gusto e volontà e non per mera pubblicità estenuante.

Con “Cara Maestra” denuncia la sua volontà di rivoluzione. «Cara maestra un giorno m’insegnavi che a questo mondo noi noi siamo tutti uguali ma quando entrava in classe il direttore tu ci facevi alzare tutti in piedi e quando entrava in classe il bidello ci permettevi di restar seduti”.

Mette in discussione principi e idee del suo tempo, quasi anticipando la rivoluzione del ’68 alla quale non assisterà mai.

Tenco scrive la sua musica non per piacere agli altri, ma allo stesso tempo è quello il suo desiderio più grande. È per questo che si trasferisce a Roma, dove tenta la strada della musica leggera, proprio come Patty Pravo, Morandi, Rita Pavone e molti altri. Capisce che per avere successo deve entrare in quei meccanismi della comunicazione industriale, che deve in qualche modo assecondarlo il suo pubblico.

“Ciao Amore ciao” è proprio una prova di questa sua volontà di cambiamento, una melodia tipica italiana incisa con suoni moderni, quasi americani. Un testo denso di significato, un’interpretazione degna di nota, carica di emozione, ma evidentemente non abbastanza per quella giuria del Sanremo del ’67.

Quel che ci resta di Tenco, oltre la sua arte, è un sorriso enigmatico e un grande talento, che forse non ha avuto la pazienza di saper aspettare.

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