C’è un momento preciso, ogni anno, in cui milioni di persone in tutto il mondo smettono di scorrere distrattamente il telefono e iniziano a farlo con un sorriso curioso: è il giorno di Spotify Wrapped.
Non è solo una funzione. È diventato un vero e proprio rito collettivo, un appuntamento emotivo che segna la fine dell’anno.
Wrapped non è una classifica. È una radiografia dei nostri dodici mesi, raccontata attraverso ciò che abbiamo ascoltato senza filtri: nelle notti insonni, nei viaggi, durante le delusioni, nei momenti di euforia. La colonna sonora, insomma, della nostra vita.
Wrapped ci mostra: gli artisti più ascoltati, i brani che ci hanno ossessionato, i generi che ci hanno accompagnato, il totale dei minuti ascoltati, le abitudini di ascolto nei vari momenti della giornata.
Lo Spotify Wrapped di quest’anno ha fatto un passo in più: non si è limitato a dirci cosa abbiamo ascoltato, ma ha provato a dirci chi siamo musicalmente. Attraverso nuove analisi, ha introdotto concetti come: la personalità d’ascolto, le fasi sonore dell’anno e soprattutto l’età musicale.
Non ha nulla a che fare con i nostri anni anagrafici. È il modo in cui Spotify prova a dirci quanto il nostro ascolto sia nostalgico, contemporaneo, sperimentale o fuori dal tempo.
C’è chi scopre di avere un’età musicale di 18 anni pur avendone 40, chi si sente improvvisamente “vecchia anima” a 22.
Ogni anno i social vengono invasi. Storie, post, reel, screenshot. Wrapped non resta privato: diventa dichiarazione d’identità.
In fondo, Spotify Wrapped funziona perché non è una classifica oggettiva. È una narrazione personale.
Non dice cosa è stato importante nel mondo. Dice cosa è stato importante per noi.