In un mondo iperconnesso, ma paradossalmente sempre più isolato, la musica continua ad avere un ruolo fondamentale: tradurre emozioni complesse, dare voce a chi fatica a esprimersi, offrire uno specchio autentico delle fragilità che attraversano la nostra quotidianità. È proprio da questo bisogno che nasce il successo profondo, non solo virale, di “Anxiety”, il brano di Doechii che in poche settimane ha travolto social, classifiche e, soprattutto, cuori.
A colpire non è solo il suono, ma l’esperienza emotiva che la canzone trasmette. “Anxiety” non segue le regole convenzionali di una hit da classifica. È caotica, ripetitiva, tagliente, proprio come può esserlo un attacco di panico. Il ritmo, quasi ossessivo, simula il battito accelerato di chi lotta con l’ansia. I versi sembrano più uno sfogo che una melodia: “I got anxiety, I need a break” diventa un mantra condivisibile da chiunque si senta sopraffatto.
Il suo successo virale su TikTok, dove la canzone è stata usata in decine di migliaia di video, è solo un riflesso di un bisogno più profondo: quello di riconoscersi in qualcosa di autentico. È anche la ragione per cui perfino personaggi come Will Smith hanno condiviso il brano, riconoscendone il potere comunicativo. La generazione Z, in particolare, ha risposto con entusiasmo. Per molti giovani adulti, l’ansia non è solo un sentimento occasionale: è uno stato costante, che accompagna scuola, lavoro, relazioni, perfino il tempo libero.
“Anxiety” è, in un certo senso, una piccola rivoluzione sonora: non edulcora, non consola con falsi ottimismi, ma normalizza. Forse, anche per questo, ha raggiunto numeri sorprendenti: oltre 193 milioni di ascolti su Spotify, quasi 14 milioni di visualizzazioni su YouTube e Posizionamento record nella Billboard Hot 100 (n.13) e nella Billboard Global 200 (n.6).
Numeri che confermano quanto questa canzone abbia saputo toccare corde profonde e condivise.
In un tempo in cui tanti di noi convivono con pressioni invisibili, una canzone così può diventare un faro. Non per salvarci, ma per dirci che non si è gli unici, e che va bene così.