Nel cuore del dialogo tra arte e tecnologia si apre un nuovo capitolo, firmato Andrea Olivari. Designer, artista multimediale e sperimentatore instancabile, Olivari ha conquistato l’attenzione di pubblico e critica con le sue installazioni immersive nate dall’unione tra creatività umana e intelligenza artificiale.
Le sue opere non si guardano soltanto: si vivono.
Nel lavoro di Olivari, l’intelligenza artificiale non è un semplice strumento, ma una co-autrice. Algoritmi generativi creano scenari visivi e sonori in continua evoluzione, che si adattano in tempo reale alla presenza del visitatore. Il risultato? Ambienti interattivi, fluidi e sensoriali, che sembrano reagire alle emozioni.
Oltre agli spazi espositivi tradizionali, Andrea Olivari ha portato la sua visione anche fuori dalle gallerie, letteralmente. Le sue installazioni urbane immersive, alimentate dall’intelligenza artificiale, si fondono con l’ambiente cittadino, trasformando piazze, stazioni, sottopassaggi e spazi pubblici in esperienze sensoriali aperte a tutti.
In questi contesti, la città diventa teatro, e il passante si trasforma in parte attiva dell’opera. I suoi lavori integrano tecnologie di computer vision, sensori ambientali e sound design generativo, capaci di rispondere al movimento, alla luce naturale e persino al rumore urbano in tempo reale.
“Urban Echoes”, una delle sue opere più note, ha animato un’intera facciata di un edificio nel centro di Milano: luci dinamiche ispirate alle emozioni captate dai volti dei passanti, elaborate tramite AI, che pulsavano e mutavano forma lungo tutta la giornata. Una parete che ascolta e restituisce.
In un altro intervento, “Pavement Memories”, sensori di pressione integrati nel pavimento di una piazza raccoglievano le tracce del cammino dei cittadini e li trasformavano in visualizzazioni proiettate sulle pareti circostanti: un mosaico digitale della quotidianità urbana.
Le installazioni urbane di Olivari hanno qualcosa di profondamente democratico: non chiedono il silenzio del museo, ma si fanno spazio nel rumore del reale. Non richiedono il biglietto d’ingresso, ma solo lo sguardo aperto di chi passa.