Negli ultimi anni la Puglia è cresciuta, almeno sulla carta. I dati parlano chiaro: dal 2019 a oggi il Pil regionale è aumentato in modo significativo, tanto da collocare la Puglia al terzo posto in Italia per incremento del prodotto interno lordo. Un risultato che, a prima vista, sembrerebbe raccontare una storia di successo. Ma se si guarda oltre i numeri, il quadro cambia radicalmente.
La crescita, infatti, non si traduce in benessere diffuso. Nella realtà quotidiana, quella dei lavoratori e delle lavoratrici che faticano ad arrivare a fine mese, la “ricchezza” di cui si parla resta un miraggio. Lo stesso studio della Cgia di Mestre, citato da molti giornali, mostra come la Puglia precipiti al 17° posto nella classifica del Pil pro capite, vicina agli ultimi gradini occupati da Campania, Sicilia e Calabria. Segno che l’aumento della produzione non ha migliorato la vita di chi lavora.
Con un Pil per abitante pari a 25.272 euro, la regione resta ben al di sotto della media nazionale (38.304 euro) e perfino della media del Mezzogiorno (25.637 euro). Il divario con il Nord è abissale: un cittadino pugliese produce quasi tre volte meno rispetto a uno di Milano, dove il Pil pro capite tocca i 75.127 euro, o di Bologna, che supera i 51.000.
Anche all’interno della regione le differenze restano evidenti: Bari è la provincia più “ricca”, ma solo al 74° posto nella classifica nazionale. Seguono Taranto all’87°, Foggia al 92°, Lecce al 95°, Brindisi al 97° e la Bat al 106°, quasi in coda. Numeri che raccontano una Puglia ancora segnata da precarietà e stipendi bassi, dove l’80% dei nuovi contratti è a tempo determinato.
«È la conferma di ciò che denunciamo da tempo – commenta Stefano Frontini, segretario organizzativo della Uil Puglia –. I lavoratori sono stanchi, impoveriti, privati di prospettive. Parlare di crescita economica ha senso solo se si traduce in migliori condizioni di vita».
Per la Uil la vera sfida è restituire dignità al lavoro, aumentando i salari, rinnovando i contratti collettivi e rafforzando la contrattazione territoriale. Serve anche contrastare i cosiddetti “contratti pirata”, che riducono tutele e diritti, e introdurre correttivi fiscali a vantaggio dei redditi più bassi.
«Nascere e vivere in Puglia non può significare essere condannati alla povertà e alla precarietà – conclude Frontini –. È tempo di passare dalle statistiche alle soluzioni concrete, per dare alle persone una vita migliore».