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Covid, il racconto di Monia, in rianimazione dopo il parto: “Virus bastardo, in un attimo può toglierti tutto”

Pubblicato da: redazione | Lun, 22 Marzo 2021 - 10:45

“Mi sono ammalata di Covid quando ero alla 34esima settimana di gravidanza. È un virus bastardo, che ti manda il conto dei suoi sintomi ogni giorno, anzi, ad ogni ora la tua situazione può cambiare, può peggiorare improvvisamente”. A scrivere un lungo post su Facebook, poi ripreso dal sindaco di Casamassima, Giuseppe Nitti, è Monia, una mamma  di Turi.

“Un attimo prima riesci a respirare – racconta – e pensi di essere una delle tante asintomatiche, un attimo dopo cominci a sentire una leggera difficoltà mentre parli, finché non mi sono ritrovata nella zona rossa di ginecologia del Policlinico con due tubicini di ossigeno nel naso, per aiutarmi a respirare, per non far soffrire la mia piccolina.  E, proprio per non far soffrire lei, mi sono ritrovata in sala operatoria per un taglio cesareo d’urgenza. Un attimo prima ero alla 34esima settimana di gravidanza, potevo sentire la mia bambina muoversi dentro di me al sicuro ed al caldo, un attimo dopo ero diventata mamma, inaspettatamente ed improvvisamente…ed anche miracolosamente”, continua il racconto.

“È un virus bastardo anche perché, in un attimo, può toglierti tanto, o peggio, può toglierti tutto. A me ha tolto tanto: la gioia di diventare madre per la prima volta, la possibilità di stringere a me la mia bambina fin da subito – continua il racconto –  di poterla allattare, di poterle accarezzare il suo dolce e piccolo viso, di tenerle le manine, di sentire il suo profumo, di guardarla dormire serena accanto a me, la possibilità di condividere questo stupendo momento con mio marito o con i miei familiari e amici…non ti toglie solo il respiro…ti toglie anche le forze e le energie, che recuperi solo dopo giorni dalla guarigione”.

A molti altri – prosegue –  però, toglie tutto, toglie la vita. Dopo il parto, sono stata qualche giorno nel reparto di rianimazione covid e non credo che dimenticherò mai quello che ho visto attorno a me: persone intubate con quel casco che tutti noi abbiamo visto in TV, una cosa terribile, oppure fin da subito sedate, perché le loro condizioni non erano delle migliori e si facevano prendere dal panico. Questo è anche peggio: potresti tranquillamente resistere in quel casco e con l’ossigeno, ma devi mantenere la calma, devi respirare lentamente, altrimenti si impossessano di te il panico e l’ansia che, con il covid, vanno a braccetto; quindi non devi essere forte e resistere solo fisicamente, ma anche moralmente”.

“Ho visto uomini e donne pronati – continua il racconto –  ossia messi a pancia in giù per aiutarli a respirare meglio, perché la posizione é tutto se vuoi sconfiggere il covid. Ho visto tanti corpi inermi che resistevano a questo maledetto virus, grazie alle tante tecniche, strumentazioni e terapie, ma non tutti ce l’hanno fatta. Ho sentito l’ultima chiamata di una nonna, di una zia, di una mamma, alla sua famiglia, prima del suo ultimo respiro. Ero accanto a lei quando chiedeva aiuto perché non riusciva a respirare nonostante il casco, ero accanto a lei quando ha fatto quell’ultima chiamata dove non riusciva a parlare, ma i suoi occhi spaventati parlavano più delle parole, ero accanto a lei quando l’hanno portata via”.

“Quelle persone erano e sono i genitori, i nonni e le nonne, gli zii e le zie, i fratelli e le sorelle di qualcuno; non erano solo uomini e donne di una certa età e con patologie pregresse. Qualcuno ha sofferto e sta soffrendo per loro, per la loro scomparsa improvvisa, per non essere riusciti ad abbracciarli per l’ultima volta – prosegue la testimonianza –  Non possiamo continuare a giustificarci con “era anziano”, “aveva quella patologia”… Non possiamo continuare a non rispettare le regole, a sottovalutare quanto questo virus possa essere bastardo e possa toglierti tutto in attimo, a chiederci se fa tutto parte di un complotto. Il virus è ancora tra noi e la gente sta morendo, improvvisamente ed in solitudine. Abbiamo il dovere morale, soprattutto nei riguardi di chi non ce l’ha fatta e di chi sta soffrendo per una prematura scomparsa, di proteggerci e di proteggere i nostri cari dal contagio. Dobbiamo stringere i denti ancora un pó… Dovremmo lamentarci di meno e ringraziare di più perché siamo vivi, perché i nostri parenti stanno bene, perché tra quei numeri che guardiamo distrattamente in televisione non ci sono conoscenti o parenti o io stessa… E sperare che ci vada bene fino alla fine di questo incubo”.

E poi un pensiero ai medici e agli infermieri.  “Ho visto tante cose brutte in quel reparto, ma ho conosciuto anche medici ed infermieri fenomenali: in tutti i reparti in cui sono stata, ma soprattutto in rianimazione covid, ho incontrato delle persone meravigliose, professionisti instancabili, che lavorano all’inferno da un anno, eppure ti donano in ogni momento il loro sorriso, la loro umanità, una parola di conforto, una carezza. Li vedi passare da un letto all’altro spegnendo allarmi, mettendo canule, facendo prelievi, attaccando cateteri, cambiando pannetti, sistemandoti il casco, mettendoti in posizione prona, poi di nuovo stesa…non si fermano un attimo… Eppure, quando ti passano accanto, hanno sempre un occhiolino da farti, una parola di conforto da dirti, una carezza timida e veloce da darti, un “oggi hai ricevuto la foto della tua bimba? Me la fai vedere?”. C’è stato chi mi ha regalato la crema Pan di stelle e una confezione di pan bauletto per la colazione, una botta di vita che mi ha tolto il respiro per la felicità; chi mi ha fatto un cuscino con una federa con tanta ovatta e chiusa con nastro adesivo, perché erano finiti i cuscini; chi, in un mio momento di profondo sconforto, pur nascondendomi sotto le coperte, ha sentito il mio pianto e si è fermato, mi ha preso la mano e mi ha detto che presto sarebbe finito tutto e avrei rivisto la mia bambina, rimanendo con me per un po’, nonostante gli allarmi da spegnere e i prelievi da fare; chi, alla fine del suo turno, si è scusato perché, tra i tanti ricoveri e decessi, non era neanche riuscita a chiedermi come stessi; chi ha gioito con me e aveva gli occhi lucidi quando sono stata dimessa perché stavo meglio. Di molti di loro non ricordo il nome e non conosco i loro volti, ma ricorderò i loro occhi, i loro sguardi teneri e orgogliosi, che mi hanno dato coraggio e forza in uno dei momenti più tristi e difficili della mia vita. Li definiscono angeli, ma sono tutto ciò che questo maledetto virus ti toglie: sono il respiro che ti manca, l’ossigeno che brami, la parola che non riesci a pronunciare, la carezza e il sostegno della tua famiglia lontana, le forze e le energie che ti abbandonano…sono la tua guarigione“.

E conclude: “Quindi facciamo un po’ di silenzio, asteniamoci dal lamentarci, ringraziamo di più per il dono della salute, diciamoci quanto ci vogliamo bene e quanto siamo grati alla vita, andiamo avanti con coraggio e orgoglio, indossiamo la mascherina, manteniamo le distanze, rispettiamo le regole. Anche questa é vita… È solo per un altro po’”.

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