Dopo circa 15 mesi trascorsi tra carcere e arresti domiciliari, l’imprenditore barese Antonio Petroni è tornato in libertà. Lo ha deciso il giudice per l’udienza preliminare Giuseppe De Salvatore, accogliendo la richiesta dei suoi legali, gli avvocati Massimo Chiusolo e Attilio Altieri. Il giudice ha ritenuto che non sussistano più i presupposti per il mantenimento della misura cautelare, escludendo sia il rischio di reiterazione del reato sia il pericolo di fuga o inquinamento probatorio.
Petroni è imputato insieme ad altre 107 persone nel processo abbreviato nato dall’inchiesta “Codice interno”, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e dalla squadra mobile di Bari. L’indagine ha acceso i riflettori sui presunti legami tra criminalità organizzata, politica e affari nel capoluogo pugliese.
La Dda ha chiesto per Petroni una condanna a sei anni di reclusione con l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso. Secondo l’accusa, nel 2019 l’imprenditore avrebbe promesso voti all’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri a favore della moglie, Maria Carmen Lorusso, in cambio di buoni benzina e buoni spesa. Lorusso fu poi effettivamente eletta al consiglio comunale di Bari. Per Olivieri, accusato di aver acquistato voti da tre clan mafiosi locali per sostenere la candidatura della moglie, la Procura ha chiesto una condanna a dieci anni.
Petroni, candidato in quell’anno come consigliere municipale, non risultò eletto. Durante un interrogatorio reso lo scorso gennaio, ha dichiarato di aver incontrato Olivieri una sola volta, nel corso di una cena, negando qualsiasi proposta o accordo illecito. Ha invece ammesso un’intesa elettorale con un altro imputato, Michele Nacci, candidato in ticket con Lorusso: un semplice scambio di voti, ha sostenuto Petroni, privo di compensi economici. Tuttavia, sempre secondo il racconto dell’imprenditore, Nacci avrebbe successivamente dirottato i voti su un’altra candidata, provocando una lite tra i due che portò alla rottura dei rapporti.