Una nuova scoperta scientifica potrebbe cambiare il modo in cui si affronta la prevenzione del tumore al seno nelle donne ad alto rischio. Un team di ricercatrici dell’Università di Bari Aldo Moro ha identificato nei tessuti mammari sani delle donne portatrici dei geni BRCA1 e BRCA2 una sorta di “firma cellulare pre-tumorale”. Questi geni, noti al grande pubblico anche grazie ai casi di Angelina Jolie e Bianca Balti, sono associati a un rischio molto elevato di sviluppare tumori al seno e alle ovaie.
Lo studio, pubblicato su Scientific Reports e coordinato da Nicoletta Resta e Carmen Abate, ha analizzato campioni di tessuto mammario di donne sane ma portatrici delle mutazioni. I ricercatori hanno osservato due aspetti fondamentali: la presenza di fibroblasti stromali ‘pre-CAF’ — cellule che, in caso di tumore, supportano la crescita del cancro — assenti nei tessuti delle donne non portatrici dei geni; e alterazioni in cellule mioepiteliali e progenitrici, con differenze specifiche tra portatrici di BRCA1 e BRCA2.
I risultati indicano che le mutazioni BRCA non si limitano a modificare le cellule epiteliali della ghiandola mammaria, ma “riprogammando” precocemente l’ambiente circostante creano condizioni favorevoli alla trasformazione tumorale. La scoperta di marcatori come PDPN e PD-L2 apre così la strada a strategie preventive e a terapie personalizzate, con l’obiettivo di ritardare o prevenire l’insorgenza del tumore.
La ricerca è stata resa possibile grazie al sostegno di Mur – NextGenerationEU, al progetto Mise “Genesi” per lo sviluppo di radiofarmaci e biomarcatori innovativi, e alla piattaforma europea Elixir-It, con l’uso di strumenti avanzati acquisiti tramite il progetto CNRBiOmics per l’analisi bioinformatica dei dati omici.
Oltre alle coordinatrici, il team comprende Francesco De Leonardis, Maria Antonietta Di Noia, Antonella Turchiano, Stefania Martino, Anna Maria D’Erchia, Antonio Scilimati e Antonella Cormio, tutti docenti UniBa di diversi dipartimenti. Una collaborazione multidisciplinare che dimostra quanto la ricerca italiana possa offrire nuove prospettive nella lotta ai tumori ereditari.