Succede a tutti: troviamo quella canzone, la mettiamo e poi la rimettiamo, di nuovo, e di nuovo, e ancora. La ascoltiamo mentre lavoriamo, in macchina, sotto la doccia , come se non potessimo smettere.
Ma perché ci piace riascoltare la stessa musica all’infinito, senza annoiarci? È solo abitudine?
Secondo uno studio della University of Michigan, il piacere che proviamo nel riascoltare una canzone deriva da un meccanismo di anticipazione e ricompensa. Il nostro cervello, conoscendo già come andrà a finire una melodia, rilascia dopamina, il neurotrasmettitore del piacere, proprio nel momento in cui riconosce il ritmo o il ritornello che amiamo.
È una sensazione di controllo emotivo: sappiamo esattamente cosa accadrà, e questo ci fa stare bene. La musica che riascoltiamo più volte spesso è legata a un’emozione forte o a un periodo della nostra vita. Riascoltare un brano amato non è un atto di noia, ma un modo per rivivere un’esperienza emotiva.
Ogni volta che lo facciamo, rafforziamo quel legame, come se la canzone diventasse parte della nostra identità.
In un’epoca in cui tutto cambia rapidamente , playlist, mode, algoritmi , ma anche persone che ci sono accanto, tornare sempre alla stessa canzone è un atto quasi di resistenza. È come dire: “In mezzo a tutto questo rumore, io so cosa mi fa stare bene, cosa mi piace.”
Interessante è che questo comportamento non ha età.
Studi mostrano che, sebbene gli adolescenti siano più propensi a ripetere un brano per creare un’identità musicale, anche gli adulti ,e persino gli anziani riascoltano spesso le stesse canzoni.
La differenza sta nel perché: nei giovani, il replay costruisce appartenenza: “Questa canzone parla di me.” ; negli adulti, diventa memoria: “Questa canzone mi ricorda chi ero.” e negli anziani, è continuità: un filo sonoro che collega passato e presente, una forma di nostalgia attiva che mantiene vivo il legame con la propria storia.
Forse è proprio questo il potere della musica: ricordarci chi siamo, attraverso ciò che amiamo ripetere.