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Gege Mangano – chef di Li Jalantuumene Monte Sant’Angelo

Pubblicato da: Gigi Rana | Mer, 22 Marzo 2023 - 09:02

Presentati a noi e ai nostri lettori in poche parole, in pochi caratteri direbbe Twitter, usa insomma le prime che ti vengono in mente per definirti.

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Dico sempre una grande cosa: “ in cucina la passione è uguale amore “. E’ la mia essenza, mi ritengo un “cuciniere”, un autodidatta, questa passione la tramando in cucina e vengono fuori i piatti.

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Ti senti un predestinato o quello che adesso stai facendo è fruttornessenzialmente del caso?

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Mi sento un predestinato verso la cucina, c’è sempre stata attrazione verso la ristorazione, anche quando ero di sala, la cucina mi ha sempre incuriosito.

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Dove e quando è cominciata la tua avventura ?

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Nel ’78 in un ristorante, a Foggia, come cameriere. Mentre la mia avventura in cucina, è iniziata giocando nel mio ristorante. Dico giocando perché non sapevo neanche fare un “pomodoro”.rnRitengo che il mio lavoro non sia, un lavoro vero e proprio ma è un giocare, come i bambini, e chiedersi sempre il perché. Lo chef che non sa chiedersi il perché, non ha capito nulla della cucina, perché la cucina è sperimentare, sempre.

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Raccontaci la tua missione, il tuo obiettivo finale, lo scopo che ti spinge a svegliarti e a fare quello che fai.

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La mia missione è la clientela, la soddisfazione più grande è quando la clientela ti dice, “Gegè bravo sono stato bene” è una grande ricchezza interiore che ti stimola nel cercare prodotti innovativi e soddisfare la clientela.rnOggi giorno siamo diventati tutti critici enogastronomici, quindi tutti i giorni, noi, combattiamo con tante mine vaganti.

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Assegnando delle percentuali, secondo te, per riuscire nella vita, quanto conta la fortuna, quanto la bravura e quanto la caparbietà?

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Una volta mi arrivò un libro, che era firmato da Aimo e Nadia del ristorante “Al Pescatore” dove era scritto: “ricordati, per diventare un grande chef ci vuole: ricercatezza caparbietà e qualità”. Quindi puoi anche avere il colpo di genio, di fortuna, ma se non hai questa caparbietà, la ricercatezza del prodotto e la della qualità, la fortuna, non ti porta lontano.

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Il tuo legame con la tua terra d’origine. Quanto c’è di lei nelle creazioni alle quali dai vita, e soprattutto quanto c’è di lei in te?

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Io mi ritengo un pugliese d’origine protetta, io sono un “DOP” come si suol dire. Per quanto riguarda la mia terra, io la amo, fare ristorazione qui non ha eguali. Qui è molto dura fare una ristorazione gourmet, ma c è la caparbietà di mantenere duro e di tirare avanti verso il proprio territorio, e la mia cucina è fatta di tre “T” : tempo, tradizione e territorio.

rnSei un fanatico del ”fast” o il tuo stile è più orientato verso lo ”slow”?rn

La mia cucina è di tipo “casereccio, da masseria”, sono molto condizionato dal mio territorio.

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Chiudi gli occhi e visualizza un’istantanea in particolare, un momento, un attimo, una situazione nella quale hai pensato ”caz*o ce la posso fare sul serio ”. rnCome tutti, presumo, avrai affrontato anche tu nel tuo ambito lavorativo momenti di scoramento, che ne so, con qualche collega, con un socio, o con l’opprimente e macchinoso titano della burocrazia. come ne sei venuto fuori?

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Quello che manca oggi è il sudore, scottarsi le mani, oggi è tutto tecnologico. Oggi va avanti non la meritocrazia di chi ha sudato ma la conoscenza, la manualità si sta estinguendo.

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Woody Allen diceva che l’arte del cinema si ispira indubbiamente alla vita. La tua arte, invece, a cosa si ispira?

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La mia grande aspirazione è il dialogare con la gente, con le persone anziane, rielaborando piatti di una volta, e insegnandomi a non vergognarsi se si sbaglia, ma aiuta a ricordare le origini. Bisogna stare sempre con i piedi per terra, anche sbagliando.

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