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“L’infezione contratta in ospedale fu curata in ritardo”: neonata morì al Giovanni XXIII di Bari

Pubblicato da: redazione | Mer, 30 Ottobre 2019 - 12:28

Ritardi nella diagnosi di una malformazione cardiaca congenita, nella cura della patologia e poi dell’infezione polmonare contratta in ospedale dopo la nascita avrebbero causato 15 anni fa la morte di una bambina di 18 giorni di vita, nell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari.

Sono le conclusioni del perito medico-legale nominato dal Tribunale civile di Bari dinanzi al quale si sta celebrando il processo per ottenere il risarcimento dei danni chiesto dai genitori della bambina, una coppia di Bitonto (Bari), che ha citato in giudizio la Asl di Bari, all’epoca responsabile della struttura pediatrica. Stando alla perizia, «nel caso di corretta e tempestiva gestione la sopravvivenza (della bambina, ndr) sarebbe stata certamente maggiore e nell’ordine del 90% a venti anni». Nei mesi scorsi il giudice ha fatto una proposta transattiva che la Asl ha rifiutato. Ieri si è celebrata l’udienza al termine della quale il Tribunale, che tratta il caso dal 2016, si sarebbe dovuto riservare per la decisione definitiva. L’udienza, invece, è stata rinviata al 4 febbraio 2020 perché il giudice è stato trasferito.

La famiglia ha scritto anche al Ministero della Salute e al presidente della Regione Puglia. Alcune settimane fa il direttore dell’Aress Puglia ha comunicato di aver delegato approfondimenti al Nucleo ispettivo regionale sanitario. Il decesso di Nicole, così si chiamava la bambina che il 25 maggio scorso avrebbe compiuto 15 anni, risale all’11 giugno 2004. Nata in una clinica privata convenzionata, fu trasferita al Giovanni XXIII e sottoposta 30 ore dopo la nascita ad intervento di correzione della malformazione cardiaca.

In ospedale contrasse poi una infezione polmonare che sarebbe stata curata – secondo la perizia – troppo tardi causandone il decesso. Inizialmente ai genitori fu spiegato che l’operato dei medici era stato corretto e che la patologia di Nicole era tanto grave «che già il fatto di aver vissuto per 18 giorni poteva definirsi un miracolo» riferisce il legale della coppia, l’avvocato Ettore Gorini. Un secondo parere, anni dopo, ravvisò errori nelle condotte dei sanitari. A quel punto, dopo un procedimento di mediazione obbligatorio al quale la Asl non si presentò, è iniziata la causa davanti al Tribunale civile. La perizia disposta dal giudice ha stabilito la responsabilità dei medici, riconoscendo che «le terapie effettuate rappresentarono scelta adeguata, ma non tempestiva» e, successivamente, «la gestione dell’infezione contribuì a ridurre ulteriormente le probabilità che la bimba sopravvivesse».

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