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Il sindaco di Statte dopo il ricovero per Covid: “Medici, infermieri combattono come leoni”

Pubblicato da: redazione | Mer, 28 Aprile 2021 - 08:30

“Provo ad entrare in punta di piedi nelle stanze del dolore. Stanze fin troppo famigliari per ognuno di noi di questi tempi. Lo faccio reduce da sedici giorni di inferno, incertezze, silenzi e paura”. Comincia così una lunga lettera il sindaco di Statte, Franco Andrioli: è tornato pochi giorni fa a casa dopo un lungo periodo a combattere in ospedale contro il Covid.

“Non sono stato il caso peggiore entrato nel reparto infettivi dell’Ospedale Moscati di Statte, prima e dopo di me c’è chi ha combattuto battaglie durissime e ha vinto, ma c’è anche chi nonostante tutto ha perso – continua la lettera –  Accanto ad ognuno di noi, accanto ad ognuno di loro, c’è e ci sarà sempre però un esercito di “invisibili” che troppo frettolosamente abbiamo declassato dalla figura di “eroi” a quella di “colpevoli”. Così nel ginepraio di polemiche, a volte del tutto inadeguate, a volte strumentali, ci si dimentica che dietro a quei volti e a quei corpi bardati di tutto punto, dalla testa ai piedi, di turno ventiquattro ore su ventiquattro, ci sono uomini e donne, medici, infermieri, addetti al servizio alla persona, pulitori, che a quel lutto o a quel dolore non ci hanno fatto il callo, ma anzi lo combattono come leoni affrontando il mostro faccia a faccia, mentre il mondo fuori pontifica e filosofeggia, senza sapere neanche cosa significhi sentirsi mancare il respiro dopo turni massacranti chiusi in uno scafandro impenetrabile”.

“Io li ho visti quegli occhi. Ho annusato l’odore che nel reparto aleggiava quando per qualcuno le speranze pian piano si riducevano. Ho sentito tutto questo, ma non ho mai avvertito la resa, la rassegnazione. Lì dentro si combatte per un respiro in più, per quella fame d’aria da placare ogni giorno – continua Andrioli –  Così queste poche righe diventano un piccolo tributo a chi la dentro mi ha aiutato ad affrontare il Covid, ma anche l’angoscia che lo accompagna. Un male subdolo che ti colpisce alle spalle e che oggi isola i contagiati ma paradossalmente anche chi li cura. Io ad ognuno di loro. Alle mani che mi hanno sollevato e pulito. A quelli che mi hanno consentito di mangiare. Agli infermieri che alle terapie accompagnavano sorrisi e piccole carezze. A chi discretamente vegliava su di me notte e giorno. A quei medici-coraggio, fino al primario Buccoliero, voglio dire Grazie. So che è poca cosa, ma io non li dimenticherò mai”.

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