All’aeroporto di Bari, tra partenze frenetiche e arrivi in ritardo, c’è un panorama che sorprende chi arriva con lo sguardo attento: un vero e proprio cimitero di automobili dimenticate.
Nei parcheggi vicini alle piste giacciono veicoli lasciati lì da anni. Alcuni sono ridotti a scheletri di lamiera, altri appaiono quasi intatti, come se il tempo si fosse fermato attorno a loro. All’interno, oggetti abbandonati raccontano storie sospese: borse dimenticate, documenti, segni di vite interrotte e viaggi mai conclusi. Molti portano targhe straniere, come piccoli enigmi sulle provenienze di chi li guidava un tempo.
Il tempo ha lasciato il segno: carrozzerie corrose dalla ruggine, gomme afflosciate e copertoni deformati, mentre le strisce blu dei parcheggi sembrano quasi ignorare queste presenze silenziose, adattandosi a contornare paraurti e ruote immobili da troppo tempo.
Queste auto occupano spazi che dovrebbero servire ai passeggeri e ai loro accompagnatori. E invece trasformano il parcheggio in un museo surreale del degrado urbano, dove il ritmo moderno di arrivi e partenze convive con il silenzio di veicoli dimenticati, testimoni muti di storie sospese.
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