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Trasferimenti di denaro a 42 intermediari stranieri: cosi da Andria si finanziava la jihad – VIDEO

Pubblicato da: redazione | Lun, 5 Luglio 2021 - 06:32
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Quattro persone residenti ad Andria sono state raggiunte, questa mattina, da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, nell’ambito dell’operazione definita “Il Libanese” coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e dalla Guardia di Finanza di Bari. L’intervento giunge al termine di un’articolata attività investigativa nel settore del contrasto al finanziamento del terrorismo internazionale.

Secondo le ricostruzioni dell’accusa, tramite un centro transfer di Andria, i quattro avrebbero erogato più di un milione di euro, in oltre mille operazioni, per sostenere l’attività delle organizzazioni antigovernative combattenti in Siria. In questo modo, tramite l’invio del denaro verso 49 paesi tra il 2015 e il 2017, sarebbero stati finanziati jihadisti appartenenti e affiliati allo Stato islamico. Ben 42 i “collettori” stranieri beneficiari del trasferimento del denaro e residenti in Stati considerati a rischio terrorismo.

L’indagine ha preso avvio nel gennaio del 2017, dopo una segnalazione dell’autorità giudiziaria francese trasmessa a Bari tramite Eurojust che aveva accertato due trasferimenti economici da 950 euro ciascuno compiuti a pochi minuti di distanza uno dall’altro da un’agenzia money transfer di Andria nei confronti di un cittadino libanese. È da questo soggetto, considerato un collettore di denaro da parte degli inquirenti, che prende il nome l’operazione che ha condotto quest’oggi agli arresti.

Le successive indagini, rafforzate da una fitta attività di intercettazione telefonica, hanno documentato ulteriori trasferimenti di soldi dalla stessa agenzia andriese, ritenuta una vera e propria base operativa del gruppo criminale. In queste altre operazioni, il denaro era inviato in Serbia, Turchia, Germania, Emirati Arabi, Albania, Russia, Ungheria, Giordania e Tailandia. Tramite questa modalità di invio, si aggirava la normativa antiriciclaggio e si provava ad evitare il rischio di segnalazione di operazioni sospette all’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia.

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