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Manzin: «Questo Bari è stato costruito in modo approssimativo e i ritiri peggiorano la situazione»

Il 'doppio ex' ricorda il passato biancorosso e avverte: «Troppa improvvisazione e confusione»

Pubblicato da: Nicola Lucarelli | Ven, 24 Ottobre 2025 - 16:41
Foto Manzin

Il Bari è reduce da una settimana davvero tormentata: prima la pesante sconfitta contro la Reggiana, poi il ritiro a Castel di Sangro e, infine, le contestazioni della tifoseria organizzata rivolte a squadra, società e dirigenza. Domenica, però, arriva il Mantova e la squadra di Caserta sarà chiamata a una partita da vincere a tutti i costi per tirarsi fuori dalle sabbie mobili della classifica del torneo cadetto.

Per trattare i vari temi di questa gara e per fare un piacevole tuffo nel passato biancorosso, abbiamo interpellato un doppio ex di Bari e Mantova, vale a dire Livio Manzin che si è concesso a un’intervista in esclusiva ai microfoni di Borderline24.com.

Il Bari ha ottenuto una sola vittoria nelle ultime otto gare. Qual è la sua opinione sulla situazione attuale della squadra biancorossa?
«Si è iniziata un’annata senza un programma ben preciso ma con tanta improvvisazione e confusione, che adesso si sta ripercuotendo. Non è stata formata una squadra con determinate garanzie per poter effettuare un campionato almeno da play-off. Tutto è stato fatto in maniera approssimativa, non dico non professionale, ma sicuramente non programmata».

La società ha deciso di confermare sia il tecnico che il direttore sportivo. Ritiene che sia stata la scelta giusta o si sarebbe aspettato decisioni diverse?
«Queste decisioni sono molto delicate. Bisogna valutare bene il momento, perché i risultati possono cambiare anche da una partita all’altra. Se il Bari riuscisse a vincere due o tre gare, tornerebbe in una posizione di classifica più tranquilla e tornerebbe entusiasmo e voglia di combattere, che ora mancano. Di solito in queste situazioni paga sempre l’allenatore: difficilmente a livello dirigenziale si prendono decisioni, a meno che il presidente non intervenga direttamente. È una prassi: quando i risultati non arrivano, a pagare è quasi sempre il tecnico. Io ne so qualcosa, in un anno ne abbiamo cambiati tre, e solo con l’ultimo, Catuzzi, siamo riusciti a salvarci all’ultima giornata».

Crede che i frequenti cambi nella composizione della rosa negli ultimi anni abbiano inciso negativamente sul rendimento del Bari?

«Sicuramente sì. Per impostare una squadra con rendimento costante serve una base di almeno sei o sette titolari che giochino insieme da due o tre anni. Poi si costruisce attorno, con acquisti mirati per colmare le lacune nei vari reparti. È così che si formano squadre compatte, che poi in campo rendono. A Bari, invece, questo non è stato fatto negli ultimi anni».

Domenica la sfida con il Mantova potrebbe essere considerata l’ultima spiaggia per il tecnico Caserta?
«Penso che questa sia una delle ultime chance che la società gli concede. Da quello che vedo, la piazza non è contenta e i risultati non lo aiutano. C’è malumore generale. Bari, con la sua storia e la sua tradizione, non può trovarsi dopo otto partite con una sola vittoria e in fondo alla classifica. Alcuni nuovi arrivi probabilmente soffrono la piazza: per giocare a Bari ci vogliono carattere e attributi, perché la tifoseria pretende e se ti spaventi alla prima difficoltà, non è la piazza giusta per te».

Che tipo di gara si aspetta domenica? E come giudica la squadra del Mantova?
«Conosco bene il Mantova e anche l’allenatore Possanzini, che seguo da quando era un ragazzo. È una persona seria, preparata. Anche il Mantova, però, sta attraversando un momento difficile. È uno scontro diretto e, in queste situazioni, subentrano paura e tensione: le squadre giocano contratte e la partita può essere decisa da un episodio, una giocata o un rigore. Prevedo una gara tirata, combattuta, ma anche molto nervosa da entrambe le parti».

Il Bari è in ritiro punitivo. Ritiene che i ritiri siano ancora efficaci per stimolare la squadra o hanno un peso limitato nell’era moderna del calcio?

«Io sono sempre stato contrario. Anche nel mio primo anno a Bari ci mandarono tre volte in ritiro nel giro di un mese, a Castellaneta Marina: diventava pesante, soprattutto per chi aveva famiglia. Oggi, con tutto ciò che c’è attorno – cellulari, social, stress – i ritiri sono ancora più deleteri. Si crea nervosismo, si sta sempre insieme, non c’è spazio per staccare o riflettere. Spesso, più che aiutare, peggiorano la situazione».

La tifoseria è molto critica, tra contestazioni e progressivo allontanamento dalla squadra. Quanto pensa possa influire questo clima sul rendimento dei giocatori?
«Incide tantissimo. Un calciatore lo percepisce. Io non ho avuto la fortuna di giocare al ‘San Nicola’, ma ai tempi del ‘Della Vittoria’ il pubblico si sentiva vicino. Avvertivi l’entusiasmo o, al contrario, il malumore. E quando lo stadio non è con te, lo senti in campo. Per questo servono giocatori con la scorza dura, capaci di reggere certe pressioni».

Lei ha militato nel Mantova nella stagione 1984-85. Che ricordo ha di quell’esperienza e della città?

«Non dovevo neanche andarci, perché l’anno prima ero a Vicenza. Il Mantova mi voleva per completare uno scambio e io ero titubante: sarei sceso dalla C1 alla C2, avevo quasi 30 anni. Poi proposi un biennale e accettarono subito, così andai. Era una piazza importante, appassionata, con tifosi competenti. L’esperienza fu positiva, anche se non riuscimmo a lottare per le prime posizioni come sperato. L’unica difficoltà era il clima: tanta nebbia, per mesi. Ma come città e ambiente mi trovai benissimo».

Attualmente, di cosa si occupa Livio Manzin: è ancora nel mondo del calcio o al di fuori di esso?
«Ho smesso di giocare a 34 anni, poi ho allenato in Interregionale, l’attuale Serie D, per quattro o cinque stagioni. Successivamente ho colto un’opportunità lavorativa fuori dal calcio, ma sono sempre rimasto vicino al settore giovanile: mio suocero è stato per 50 anni presidente di una società importante di Torino. Da un anno e mezzo sono responsabile tecnico della scuola calcio, dell’Asd Rebaudengo Torino: seguo i bambini del 2016-17-18. Cerchiamo di insegnare tecnica e coordinazione, aspetti fondamentali spesso trascurati oggi. Per il resto, sono un pensionato che si gode la vita».

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