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Carceri, sold out in Puglia: è la regione con più alto tasso di affollamento di detenuti

Pubblicato da: redazione | Mer, 1 Gennaio 2020 - 16:00

È in costante crescita il numero dei detenuti nelle carceri italiane: al 30 novembre 2019 erano infatti 61.174, circa 1.500 in più della fine del 2018 e 3.500 in più del 2017. A rendere noti i dati è Antigone. Un aumento su cui non pesano gli stranieri che, sia in termini assoluti che percentuali, sono diminuiti rispetto allo scorso anno.

Se al 31 dicembre 2018 erano infatti 20.255, pari al 33,9% del totale dei detenuti, al 30 novembre 2019 erano 20.091, pari al 32,8% del totale dei ristretti. Il tasso di affollamento ufficiale è del 121,2%, tuttavia – osserva l’associazione – circa 4.000 dei 50.000 posti ufficiali non sono al momento disponibili è ciò porta il tasso al 131,4%. Un esempio è quello che riguarda il carcere milanese di San Vittore, dove 246 posti non sono disponibili e dove il tasso di affollamento effettivo è del 212,5%, cioè ci sono più di due detenuti dove dovrebbe essercene uno solo. Anche senza posti non disponibili, tuttavia, ci sono istituti dove le cose non vanno meglio, ad esempio Como e Taranto, dove il tasso di affollamento è del 202%. In generale, al momento, la regione più affollata è la Puglia, con un tasso del 159,2% (il 165,8% se consideriamo i posti conteggiati ma non disponibili), seguita dal Molise (150% quello teorico, 161,4% quello reale) e dal Friuli Venezia Giulia (144,1% teorico e 154,7% reale).

«Ancora una volta dobbiamo constatare come, a fronte di un calo dei reati, aumenti il numero dei detenuti – dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione che dal 1991 si occupa di diritti e garanzie nel sistema penale e penitenziario – questo dato si spiega con un aumento delle pene, frutto di politiche che, guardando ad un uso populistico della giustizia penale, hanno risposto in questo modo ad una percezione di insicurezza che non trova riscontro nel numero dei delitti commessi. Quello della crescita dei reclusi è un trend che nell’arco di poco tempo potrebbe portarci nuovamente ai livelli che costarono all’Italia la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per trattamenti inumani e degradanti».

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