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Bari, al Policlinico la lotta per salvare i ricoverati. La testimonianza di chi è a contatto con il coronavirus ogni giorno

Pubblicato da: Samantha Dell'Edera | Sab, 21 Marzo 2020 - 13:00
coronavirus policlinico bari instagram

Al Policlinico di Bari medici e infermieri stanno già lottando per salvare i pazienti più gravi, colpiti da coronavirus. Riportiamo il racconto di un “fine turno” di una specializzanda al terzo anno proprio al pronto soccorso del Policlinico. Un racconto che fa capire in che condizioni stanno lavorando medici e infermieri, anche loro con la paura del contagio, ma pronti a tornare ogni giorno per salvare chi sta lottando tra la vita e la morte. “A Bari non si ha ancora la percezione di quanto sta accadendo”, ci dice.  Riportiamo il suo post su Facebook, in maniera integrale.

“Fine turno.  Saluti chi resta. Implori qualcuno che venga a “svestirti”. Ti spruzza l’alcol dovunque. Ti strofini, inali. Sperando che oltre a corroderle, almeno disinfetti pure le vie aeree. Nel frattempo pensi a dove sia la bottiglia d’acqua più vicina. Non tocchi un goccio da 12 ore. Via i primi guanti, togli la tuta. Ma senza toccarla. Deve scivolare via. E invece è appiccicata addosso. Coraggio. Togli i calzari. Ma senza appoggiarti al muro. Io che sbando pure quando sto seduta. Disinfetti le mani. Togli la maschera, ma senza rovinarti la faccia. Togli gli altri guanti. Spruzza sulla pelle.
Saluta.

Esci, respiri aria fresca.
Fa freddo a maniche corte. Rientri da un’altra porta. Togli la cuffia. Lavi le mani, la faccia, gli occhiali. Se sono sopravvissuti senza cadere, rompersi, sporcarsi. Lavi pure il telefono. Se sopravvive a questo periodo, è un miracolo. Togli il green, che poi è di tutti i colori tranne che verde, boh. Ti metti i tuoi vestiti. Chissà se sono contaminati. Nel dubbio hai due cambi che indossi da un mese. Ti spruzzi le mani nude, di nuovo, e le suole delle scarpe. Cammini come una papera per non scivolare. Saluti chi incontri, chissà se si ricordano il nome ora che non ce l’ho scritto sulla visiera. Mi riconoscono. Non ho cambiato gli occhiali .

Esci.
Aria fresca. Che mangio stasera?
Chiami casa,  quella vera. “Voi state a casa, io sto bene. All’uscita avevo la stessa temperatura di stamattina. Sì, sto attenta”.
Per strada, poca gente. Sarà stato così tutto il giorno? Ci speri.
Arrivi a casa, ti fa male la gola ma è perché hai urlato tutto il giorno per farti sentire oltre la maschera, la tuta, la visiera. Almeno speri.
Ti fa male la schiena, non sono artralgie, è che la tuta è studiata per una persona alta 1,70 ma con 1,50 di gambe. Almeno speri.
Gli occhi gonfi, è stanchezza. Non è congiuntivite, speri.
I brufoli sul mento, li avevi pure prima. Non è la maschera, speri.
I capelli forse è il caso di tagliarli. Da sola non so tagliare neanche le unghie. Lasci stare.

Finirà prima o poi. Ci speri. Anzi ne sei certa. Ma nel frattempo: le mani secche, con le ragadi.
Provi ad addormentarti, ma sei ancora in tensione.
Domani mi riposo.
Ma stanno i colleghi da soli. E i pazienti isolati.

Vado anche domani”.

 

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