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Bari, “Dal tumore si può guarire”: i risultati di Oncology for Primary Care

Pubblicato da: redazione | Sab, 18 Novembre 2017 - 21:15

Dal tumore si può guarire. O almeno, una volta diagnosticato, ci si può convivere cronicizzandolo. La terapia oncologica oggi determina un grado di curabilità superiore a qualche anno fa, consentendo alle persone colpite di avere una vita attiva e soddisfacente. Questo il messaggio lanciato dall’ottava edizione del Congresso sulle “Cure primarie per il paziente oncologico”, organizzato a Bari da C.Lab Meeting, dove si sono riuniti medici, chirurghi, biologi e tecnici di laboratorio. Si è dimostrato come la prevenzione primaria, la lotta al tabagismo, la diffusione degli screening, il progressivo sviluppo e miglioramento dei percorsi diagnostici e delle prospettive terapeutiche portino  sempre di più ad una riduzione di nuovi casi e globalmente ad un miglioramento nella sopravvivenza.

Ogni giorno mille persone, secondo lo studio Aiom-Airtum 2017, scoprono di avere un tumore. Pertanto continua ad essere rilevante la prevenzione primaria per ridurre il rischio di ammalarsi di cancro. Salvarsi dal cancro è possibile se si considerano due aspetti: la fase nella quale viene diagnosticata la malattia e l’efficacia delle terapie. Il fumo, l’alcool e l’eccesso di peso aumentano il rischio di ammalarsi di tumore. Quindi l’alimentazione assume un ruolo sempre più importante nella terapia integrativa oncologica. L’obesità resta infatti il principale fattore di rischio per l’insorgenza dei tumori e il controllo del peso corporeo emerge come principale raccomandazione per la prevenzione oncologica.

“La cellula tumorale è una cellula intelligente: con la chemioterapia si arresta momentaneamente e poi trova la via per riprendere a cascata”. Il professor Nicola Marzano, Responsabile del Reparto Oncologico dell’Ospedale San Paolo di Bari, afferma che “tra qualche anno la tradizionale chemio non ci sarà più e sarà sostituita anche dalla terapia che agisce sul sistema immunitario, deputato a difendere l’organismo dalle aggressioni esterne. Quest’ultima non “parla” alla singola cellula tumorale ma al sistema immunitario”.

Tale strategia terapeutica ha già dato grandi vantaggi nella lotta a malattie poco curabili come i melanomi, i tumori renali, i tumori polmonari ed uroteliali, e sta estendendo il proprio campo di utilizzo nella cura.

Conoscere la genetica della persona è fondamentale per predisporre controlli mirati sia nei soggetti affetti dalla patologia tumorale che soprattutto nei familiari a rischio. Il test genetico, effettuato dopo un’adeguata consulenza, è pertanto di fondamentale importanza. Tuttavia i parenti di chi si ammala raramente vengono sottoposti a questa analisi

La figura del biologo molecolare, accanto a quella dell’oncologo, sarà sempre più indispensabile per predire l’efficacia delle terapie e per la prevenzione, visto che la diagnosi precoce rimane la più efficace delle armi. Un altro aspetto da non trascurare è la disparità di accesso alle cure. Man mano che la popolazione diventa eterogenea il sistema ospedaliero si dovrà adeguare per garantire a tutti i cittadini del mondo il diritto alla salute.

Eugenio Maiorano, primario dell’Istituto di Anatomia Patologica del Policlinico di Bari,  spiega che “nonostante sia un dato eterogeneo ci sono dei dati evidenti che manifestano una più elevata incidenza di neoplasie maligne nella popolazione immigrata e un più tardivo riconoscimento e accesso alle cure delle stesse popolazioni.  Questo ha motivazioni socio-culturali ma incidono anche fattori come la scarsa aderenza agli screening, soprattutto per i tumori femminili, che in queste popolazioni stentano a trovare un corso efficace come invece in quelle residenti”.

“Tuttavia anche in Italia nelle regioni meridionali “l’adesione allo screening – conclude Maiorano – è inferiore rispetto a quelle settentrionali, si parla di una mancata risposta di oltre il 30 per cento della popolazione. Nonostante la Puglia si distingua tra le regioni del Mezzogiorno rispetto al dato nazionale, si registra comunque una percentuale di risposta ancora bassa da parte della popolazione alle indagini diagnostiche”.

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