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Puglia, occupazione in ripresa: ma i 70 mila posti di lavoro persi con la crisi sono irrecuperabili

Pubblicato da: Gino Martina | Dom, 25 Novembre 2018 - 08:00

Tra leggeri aumenti e sostanziali conferme, i dati sull’occupazione in Puglia fotografano una situazione in miglioramento ma sempre difficile, che fatica a recuperare i posti di lavoro persi nei dieci anni trascorsi dalla crisi. Le ultime cifre fornite dalla Banca d’Italia parlano di un 17,6% di senza lavoro rispetto all’11,1 della media nazionale. L’occupazione nei primi sei mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2017 ha segnato un confortante più 2,5%, ma il numero dei posti di lavoro persi in dieci anni, a partire dal 2007, descrive un confronto impietoso: meno 76.643 (dati Svimez). Nella sola area compresa tra Bari, Bat e Foggia il numero è di 38.607. Male Taranto e provincia, con un meno 12.145, malissimo Lecce, tra le peggiori in assoluto: meno 25.891 posti di lavoro. L’emigrazione ripresa a ritmi elevati verso il Nord dell’Italia e altri Paese esteri, Germania su tutti, non fa altro che confermare la tendenza.

A fotografare e a raccontare meglio il difficile stallo in cui si muove la navicella dell’economia pugliese, sono le vicissitudini dei singoli settori produttivi. Bene il turismo. Il rapporto previsionale di Demoskopika calcola che in Puglia, per tutto il 2018, aumenteranno del 2,7% gli arrivi e dell’1,6% le presenze di turisti. Nei primi sei mesi del 2018 c’è stato un nuovo incremento degli arrivi e delle presenze dell’1,5%, trainato della componente estera della domanda che aumenta del 10% (arrivi) e del 7% (presenze) rispetto allo stesso periodo del 2017.

Stabile la situazione dell’agricoltura. Nonostante la lieve flessione dello 0,3% registrata nel 2017, la Puglia, secondi i dati Coldiretti, si conferma la regione con il maggior numero di lavoratori dipendenti pari al 17,4% del totale nazionale. Sono 184.860 in totale i lavoratori dipendenti nei campi e in cinque anni sono cresciute del 7% le giornate di lavoro, passate da 14,6 milioni del 2014 a 15,7 milioni del 2016, mentre il numero delle aziende assuntrici di manodopera è aumentato di 182 unità. Molte le aziende nate su iniziative dei giovani con una media di 30 anni. Rimangono le incognite delle calamità naturali e della Xylella che hanno colpito pesantemente quest’anno la principale produzione della regione: l’olivicoltura.

Ancora più complessa la situazione dell’industria. Il settore ha registrato sì un ulteriore aumento delle vendite (su un campione di 340 aziende è emerso che il 39,4% delle imprese industriali ha incrementato il fatturato rispetto al 2017) ma la crescita ha riguardato soprattutto il comparto alimentare. Mentre il chimico, il petrolifero e il siderurgico sono tutti stabili o in calo, come nel complesso le esportazioni: meno 3,8%.

A pesare sul tutto è la mancanza di una politica industriale nazionale e meridionale degna di questo nome. Mancano idee, progetti a lungo termine e risorse per invertire la rotta e intraprendere con decisione un “New deal” di ampio respiro in grado di garantire sostenibilità, futuro e speranza a intere generazioni tornate a emigrare per lavoro e a incrementare come non mai le immatricolazioni delle Università delle regioni settentrionali.

Emblema delle difficoltà è quanto accade all’acciaieria ex Ilva di Taranto, ora Arcelor Mittal, il sito industriale più importante della regione. Il siderurgico si ritrova 2 mila e 600 cassintegrati da fine ottobre, cui si aggiungono gli oltre 600 lavoratori che hanno scelto di lasciare la fabbrica e accettare un incentivo, a fronte degli 8 mila e 200 riassorbiti dalla nuova proprietà. È come se avesse chiuso l’azienda, al di là dell’Ilva tessa, più grande di quelle esistenti sul territorio pugliese. Sono numeri che rispecchiano il gigantismo di quella fabbrica e che incidono pesantemente sull’economia regionale.

Ma vertenze e crisi toccano da vicino anche Bari. Non si è ancora risolta del tutto quella dei circa 200 lavoratori ex Om. Se da una parte la riconversione del sito sembra ormai aver raggiunto una svolta determinante con l’investimento nel campo del trattamento della parte secca della raccolta differenziata ad opera della società Selectika, dall’altro non è ancora del tutto conclusa la battaglia dei lavoratori per vedersi riconosciuta la casa integrazione dal 2017 al 2020, anno in cui il nuovo progetto dovrebbe decollare definitivamente.

Nel settore dell’automotive, il più importante della zona industriale tra Bari e Modugno, non mancano i nuovi investimenti e le buone notizie, ma sindacati e lavoratori sono abituati a rimanere sul “chi va là”. L’andamento del mercato è l’incognita maggiore soprattutto per quanto riguarda le nuove produzioni di aziende come la Magneti Marelli, per la quale, nello specifico, si aggiunge l’incertezza data  dalla vendita del marchio da parte di Fca al capitale giapponese di Calsonic. Le officine baresi, che occupano poco meno di mille dipendenti, sono all’avanguardia per la produzione di sistemi di iniezione e motori green per conto di grandi case automobilistiche internazionali come Chrysler, Porsche e Wolkswagen. Ma un passaggio di consegne così epocale lascia comunque parte dei lavoratori e dei sindacati titubanti.

Dopo la vertenza dello scorso anno, sembra invece essersi stabilizzata la situazione della Bosch, anche se i malumori tra i lavoratori legati alla cassa integrazione ordinaria e ai piani ferie sono sintomo di un clima non del tutto sereno. Ma qualcosa si muove. A confermarlo sono i nuovi investimenti promessi dalla Regione Puglia e dall’azienda stessa per il Bosch-Centro Studi per veicoli spa per la ricerca nel campo dei veicoli con bassi livelli di emissioni inquinanti. Un investimento nel complesso di 13 milioni di euro indirizzati alla ricerca e allo sviluppo. Vale a dire verso il futuro.

 

 

 

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