Nella cornice di un’aula universitaria, qualche giorno fa, lo scenario sembrava quello di sempre: una commissione di professori, una tesi sul tavolo, l’attesa palpabile del grande momento. Eppure, qualcosa di radicalmente nuovo stava accadendo. A parlare non era la studentessa in carne ed ossa, ma un avatar digitale guidato dall’intelligenza artificiale.
Per la prima volta in Italia , e tra le primissime volte al mondo, all’Università di Cassino, una laurea magistrale è stata discussa attraverso un’intelligenza artificiale, aprendo una nuova pagina nell’evoluzione del rapporto tra tecnologia e istruzione.
La protagonista “reale” è Veronica Nicoletti, che ha deciso di affidare la presentazione della sua tesi a un alter ego digitale. La sua ricerca, dal titolo emblematico “Educare all’intelligenza artificiale, educare l’intelligenza artificiale: mitigazione dei bias”, è stata illustrata dalla sua controparte AI davanti alla commissione, rispondendo in tempo reale alle domande e dimostrando una padronanza del contenuto. Nicoletti, nel frattempo, assisteva silenziosa, testimone della sua stessa discussione.
Certamente tutto questo è una grande opportunità, ma a quale prezzo?
L’utilizzo dell’intelligenza artificiale in ambito accademico porta con sé un carico notevole di potenzialità. E se da un lato avatar AI possono facilitare l’apprendimento per studenti con difficoltà, abbattere barriere linguistiche, personalizzare i percorsi formativi, dall’altro, riflettendoci, qual è il ruolo dello studente in un processo di apprendimento mediato dall’AI?
Se una macchina può parlare, rispondere, persino convincere, che ne è dello sviluppo del pensiero critico, dell’empatia, della relazione educativa?
Si può davvero parlare davvero di “merito” se la performance è frutto di una simulazione?