Soundtrack da ascoltare durante la lettura: “Mi vendo”. Icona glam della musica italiana. Artista eclettico, dallo spiccato talento. Renato Zero è un vero e proprio personaggio sui generis, potremmo definirlo un genio creativo. Fin da ragazzino è rivoluzionario, sognatore, ha un mondo dentro e vuole cantarlo, raccontarlo, esprimerlo a pieno ma a suo modo, senza dover sottostare a pregiudizi, libero di essere sé stesso. La sua carriera non inizia come cantante, ma come ballerino del Piper, noto locale romano in voga negli anni Sessanta. Fa parte dei “Collettoni”, gruppo di ballo di Rita Pavone ma nello stesso anno incide il suo primo 45 giri prodotto da Boncompagni, intitolato “Non basta mai”.
Scoppia la Zerofollia
Negli anni Settanta trova la sua identità artistica e decide di dedicarsi prettamente alla musica, alla sua musica. È questo punto che sceglie di adottare un nome d’arte. Zero, infatti, non è il vero nome dell’artista ma bensì il suo pseudonimo, si potrebbe anche dire una sfida lanciata a chi, durante le sue prime esibizioni, gli gridava per l’appunto “sei uno zero”. Ma uno Zero, Renato non lo è mai stato e ben presto mostra a tutti il suo grande ed eccezionale talento. Il ’77 è infatti l’anno della sua consacrazione come cantautore. Pubblica l’album “Zerofobia” che raggiunge le vette delle hit parade grazie a pezzi come “Mi vendo” e “Il cielo” e solo un anno dopo realizza il suo mondo magico: “Zerolandia”. Un tendone da circo itinerante sotto il quale ogni sera si radunano migliaia di “sorcini” da tutta Italia per godere delle sue eclatanti performance. Scoppia la Zerofollia!
Zero, tra piume e paillette
Audace è la parola che probabilmente potrebbe descrivere meglio quest’artista. Renato rompe le barriere estetiche di un’Italia conservatrice e bigotta a partire dal taglio di capelli: un bob nero con una folta frangia che contorna il viso magro con le guance cerchiate di rosso. Zero è trucchi eccessivi, maschere carnevalesche, copricapi di piume e tante, tante paillette. In “Mi vendo”, indossando un tailleur leopardato aderente e stivali neri alti e lucidi, canta di quel coraggio che spesso non abbiamo, di quella libertà che bramiamo ma non abbiamo la tenacia o la forza di raggiungere e che lui ci vende. Vende grandi ali per scappare via dalla noia della vita, per volare e ritrovare quella grinta e quell’entusiasmo perduto.
Il Glam Rock di Zero
Ma Zero è anche esagerazione. È mistero. Renzo Arbore scrive che egli non copia nessuno, che il suo è “rock nuovo, che se ne infischia di scandalizzare qualcuno, usa sensibilità, intelligenza e originalità.” I suoi costumi, seppur eccentrici, non tolgono la scena ai brani ma anzi, li incarnano, sono un valore aggiunto alle sue performance. È proprio questa sua stravaganza ad insinuare nella mente di molti dubbi sulla sua sessualità, tanto da considerarlo uno scandalo vivente e renderlo spesso vittima di violenza verbale e cattiveria. Ma Renato risponde sempre con dignità e sfrontatezza. Esempio ne è “Il triangolo”, una delle sue migliori produzioni. Un testo provocatorio e trasgressivo, contornato da una vena ironica e autoironica attraverso il ricorso a similitudini e doppi sensi.
La verità è che Zero non solo interpreta ma dona emozioni, da generazioni in generazioni. È la colonna sonora dei migliori anni della nostra vita, è un inno all’anticonformismo, alla follia, perché come lui stesso sostiene bisogna “non vergognarsi mai e osare tutto, per rendere eterna la giovinezza”.