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Morì travolto da un branco di cinghiali nel Foggiano, la famiglia: “Vogliamo giustizia”

Pubblicato da: redazione | Sab, 19 Marzo 2022 - 10:00

“Non si può morire per strada nel terzo millennio, in un Paese civile, per uno scontro con un branco di cinghiali. Né continuare a far finta di nulla non affrontando un problema ben conosciuto che ormai è di sicurezza e incolumità pubblica: che almeno la morte di mio marito non sia stata del tutto vana”.

Sono parole forti, piene di dolore ma anche di rabbia, quelle della signora Angela, la moglie di Luigi Turco, Gino come lo chiamavano tutti, l’imprenditore agricolo di Lesina (Foggia) che ha perso la vita a soli 59 anni nella notte tra il 10 e l’11 marzo sulla Statale 693, nel territorio di San Nicandro Garganico, a causa di un incidente che grida vendetta: la sua unica “colpa” è di essersi imbattuto con la sua Fiat Panda in un branco di ungulati, uno dei tanti che scorrazzano nella zona, mentre attraversavano la carreggiata, e, ulteriore sventura, di esserseli ritrovati improvvisamente davanti dopo una curva, senza alcuna possibilità di frenare in tempo per evitarli. Com’è tristemente noto, l’auto con l’urto si è ribaltata ed è finita contro una parete rocciosa: un impatto tremendo che non ha lasciato scampo all’apprezzato e compianto imprenditore, o meglio agricoltore come amava definirsi perché la sua “impresa”, portata avanti con passione con la moglie e i due figli, era la terra.

I suoi cari, ancora sotto shock per la tragedia, ci tengono a ringraziare tutti per gli innumerevoli attestati di stima per la persona e di cordoglio giunti loro in questi giorni e per le prese di posizione forti per invocare interventi onde far fronte all’emergenza fauna selvatica e, in particolare, al proliferare dei cinghiali, la cui gestione compete alla Regione che deve anche rispondere dei danni, come ha confermato una recente sentenza della Cassazione ponendo fine al continuo scaricabarile tra istituzioni e chiarendo che i risarcimenti vanno sempre chiesti per l’appunto alle Regioni, che poi si rivarranno eventualmente su altri soggetti laddove abbiano delegato a terzi, ad esempio agli Enti Parco, le relative competenze. La drammatica vicenda di Turco è stata portata persino all’attenzione del Senato dal parlamentare e amico Francesco Bruzzone, “noi stiamo dalla parte di Gino Turco e non dei cinghiali” ha detto l’onorevole; Maura Di Salvia, presidente dell’Associazione “Michele Di Salvia” che si occupa di sicurezza stradale, ha sollecitato la convocazione di un tavolo tecnico in Prefettura; il presidente della Comunità del Parco, e sindaco di Carpino Rocco Di Brina, d’intesa con il presidente del Parco nazionale del Gargano, Pasquale Pazienza, ha formulato ufficiale richiesta di un tavolo politico-tecnico urgente in cui “Regione Puglia, Parco Nazionale del Gargano e le altre istituzioni competenti possano confrontarsi per assumere celeri e precisi impegni nel fermare l’incontrollata presenza dei cinghiali sul Gargano”.

Ora però la famiglia di Luigi Turco si aspetta fatti e risposte, non solo dalle istituzioni politiche e amministrative, ma anche dalla giustizia, perché quella dell’imprenditore è stata la classica “morte annunciata”, ed è l’aspetto che più indigna. Anche a volersi affidare a dati e statistiche ufficiali, basta scorrere il recente “Piano di monitoraggio e gestione del cinghiale in regione Puglia” realizzato dal dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, nell’ambito di una convenzione tra tutti gli ambiti territoriali di caccia provinciali e la stessa Regione, per comprendere la consistenza del fenomeno, a partire dal numero di esemplari conteggiati, 1604, dato peraltro riferito a giugno 2020. Gli incidenti stradali causati dagli ungulati registrati in Puglia dal 2009 a parte del 2021 sono stati ben 331, 95 dei quali nel Foggiano, ma si tratta solo della punta di un iceberg, dei più gravi con feriti: la stragrande maggioranza, quelli limitati ai danni materiali ai veicoli, spesso non vengono neppure denunciati. E, soprattutto, per quanto riguarda la provincia di Foggia, balza subito all’occhio l’aumento esponenziale di sinistri dal 2019 al 2020 (ultimo anno monitorato interamente), da 24 a 34, e dalla geolocalizzazione emerge altrettanto chiaro, come del resto era prevedibile, l’alta concentrazione di eventi nel settore garganico. Insomma, un’emergenza arcinota e comprovata in loco.

“Non ci si può lavare le mani sostenendo di aver messo dei cartelli” prosegue la moglie dell’imprenditore, alludendo alla risposta fornita due anni fa dall’Anas, l’Ente gestore, alla parlamentare Marialuisa Faro che aveva chiesto chiarimenti sulla gestione della fauna selvatica proprio riguardo alla Statale 693. “L’azienda ha provveduto a segnalare del potenziale pericolo l’utenza attraverso l’istallazione lungo l’intera SS 693 di segnaletica verticale specifica con segnali di pericolo per animali selvatici vaganti”, aveva risposto Anas, sostenendo poi che sulla Statale, in quanto infrastruttura extraurbana secondaria Tipo C, non sarebbero neppure previste le recinzioni a margine. “Mi chiedo – lamenta la moglie della vittima – come possano bastare dei cartelli di pericolo su una strada ad alto scorrimento, tutta curve e con il limite di velocità di 110 km/h: mio marito andava molto più piano, aveva un’utilitaria, ma non gli è stato sufficiente per salvarsi”.

I familiari di Turco si sono affidati al penalista  Aldo Maria Fornari dello Studio3A-Valore per seguire le indagini preliminari. La Procura di Foggia, tramite il Pubblico Ministero, Alessio Marangelli, ha infatti aperto un procedimento penale per omicidio stradale, al momento contro ignoti: l’auspicio della moglie e dei figli è che questi “ignoti” abbiamo presto un nome, vengano individuate tutte le responsabilità, non solo per rendere giustizia all’imprenditore ma anche per dare un input affinché anche questa tragedia non finisca nel dimenticatoio e si cominci a fare davvero qualcosa per rendere più sicure le strade pugliesi.

 

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