In Italia servono in media 441 giorni, oltre 14 mesi, per accedere ai nuovi trattamenti oncologici dopo l’autorizzazione da parte dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema). Un’attesa più breve della media europea (586 giorni), ma ancora troppo lunga se confrontata con la Germania, dove bastano 110 giorni. A lanciare l’allarme è l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), in occasione del convegno nazionale Cancer research: from Chicago to Bari, che ha preso il via oggi nel capoluogo pugliese.
Oltre ai tempi di approvazione, a pesare sono anche gli ostacoli burocratici legati ai Prontuari terapeutici regionali e ospedalieri, che causano ulteriori ritardi nell’accesso alle terapie. “L’innovazione porta davvero benefici se è garantita equamente a tutti i pazienti – spiega Francesco Perrone, presidente Aiom –. Quando un oncologo richiede un trattamento nel rispetto dei criteri fissati da Aifa, dovrebbero essere evitate lungaggini burocratiche e valutazioni aggiuntive a livello locale”.
Per Aiom è ormai urgente eliminare i Prontuari terapeutici regionali, che rappresentano un ostacolo concreto alla tempestiva disponibilità dei farmaci in tutto il territorio nazionale. Un esempio emblematico è quello del primo radioligando approvato per il trattamento del tumore alla prostata metastatico resistente alla castrazione: a quasi tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sua approvazione da parte dell’Aifa, la terapia non è ancora accessibile in tutte le 16 Regioni che dispongono delle strutture abilitate alla sua somministrazione. “Questa è una delle terapie più promettenti della medicina di precisione – afferma Aiom – ma i pazienti non possono attendere che si risolvano i nodi burocratici”.
“Oggi un paziente piemontese, per ricevere la cura, è costretto a spostarsi in altre Regioni – denuncia Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom –. Ma il rimborso del farmaco fuori regione non può essere la soluzione. I pazienti devono poter ricevere le cure nel proprio territorio, senza ostacoli burocratici che nulla hanno a che fare con le condizioni cliniche”, ha concluso.
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