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“Rebibbia-Kobane andata e ritorno”: il racconto di Zerocalcare

Pubblicato da: Francesca Romana Torre | Mer, 22 Marzo 2023 - 09:13
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In occasione della presentazione della sua ultima opera, Kobane Calling, Michele Rech, in arte Zerocalcare, ha salutato il pubblico barese, rispondendo alle domande e dedicandosi a una lunghissima sessione di firmacopie nella libreria Feltrinelli.rnrnZerocalcare ha raccontato a Borderline24 alcune curiosità del suo ultimo lavoro.rnrnIl desiderio di raccontare l’esperienza di Kobane e quello che sta succedendo in quella parte del mondo, è scaturito da un episodio in particolare?rnrnIn realtà tutto nasce nel 1999 quando il presidente del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), Abdullah Öcalan, venne a Roma a chiedere asilo politico e  i centri sociali, che in quel momento iniziavo a frequentare, si fecero carico dell’accoglienza di tutti i curdi che lo sostenevano. Più di recente, quando è iniziato l’assedio di Kobane e abbiamo scoperto l’esperimento rivoluzionario che si stava sviluppando al suo interno, abbiamo deciso di continuare a sostenere la causa incontrata da adolescenti e dimenticata nel corso degli ultimi quindici anni.rnrnIn Kobane Calling lei riporta verità abbastanza scomode, voci che ha avuto modo di raccogliere durante la sua esperienza di viaggio, anche riguardo la posizione degli Stati Uniti in questo conflitto. E’ stato agevolato – in questo senso – dal linguaggio fumettistico, tradizionalmente associato a un ambito più leggero?rnrnSecondo me è un po’ presto per rispondere  a questa domanda, perché probabilmente il contenuto non passerà inosservato solo perché è un fumetto. Un blog – evidentemente molto vicino all’ambasciata turca – ha sollevato già le prime polemiche. C’è quindi il rischio che – nel tempo – possa essere comunque scomodo per qualcuno.rnrnKobane Calling rappresenta un punto di non ritorno per il suo percorso professionale? O si sente pronto a riaffrontare tematiche più leggere?rnrnSostanzialmente vorrei conquistarmi la libertà di parlare di quello che mi pare e di quello che sto attraversando nel momento in cui scrivo e disegno, che sia un viaggio in Kurdistan o i plumcake scaduti in frigorifero. Non vorrei fossilizzarmi su un solo tema, è una deriva che vorrei evitare per quanto possibile.rnrnCosa pensa dei media e del loro modo di affrontare tematiche più impegnative? rnrnLa cosa più banale che verrebbe da dire è di essere diffidenti. È ovvio che le cose che succedono a Kobane non sono raccontate dai giornalisti perché pochissimi di loro vanno a verificare in prima persona cosa sta succedendo. Anche  quelli che si recano sul posto, di fatto poi rimangono in albergo e prendono le notizie dalle fonti militari o governative, quindi non so come ci si possa informare davvero. La mia risposta è stata recarmi sul posto, una soluzione che ovviamente non può essere valida per tutti. In generale sicuramente consiglierei di mettere sempre in discussione le cose che ci vengono raccontate, ma tengo a specificare che non leggo questa situazione in un’ottica complottista. La maggior parte delle volte le inesattezze sono dovute davvero solo a superficialità.rnrnIn Kobane Calling ha descritto l’esperimento che i curdi stanno portando avanti – a livello sociale e politico – come un esperimento innovative anche rispetto aquanto accade nella nostra società. Potrebbe essere, secondo lei, un’utopia condivisibile e esportabile?rnrnTendenzialmente sì, quello che loro hanno di particolare è il metodo che comunque è costituito da una continua messa in discussione e dalla coesistenza di diverse culture. Bisognerebbe imparare a declinare a seconda del contesto questo metodo.rnrnIn conclusione: quest’esperienza e questo fumetto l’ha fatto più per sé o per gli altri?rnrnDipende da cosa intendi per “altri”. Non l’ho fatto per nessuno spirito di beneficenza, altruismo o cose simili. L’ho fatto perché incrociava un pezzo della mia biografia. Io sono andato in Kurdistan perché avevamo quel progetto e ci andava di farlo. Sono quelle cose che uno fai per arricchimento personale. Ovviamente non posso che essere contento se il mio libro sarà d’aiuto alla causa curda, ma è nato principalmente da una esigenza personale.

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